Mad Men 6×06: la recensione
Il 1968 di Mad Men è proseguito intrecciando gli eventi storici alle vicende dei suoi protagonisti. Le ambizioni di Peggy Olson vengono drasticamente frustrate dalle urgenze di “For Immediate Release”, diretto da Jennifer Getzinger. Il sesto episodio vede Matthew Weiner come sceneggiatore, e si concentra su una serie di inevitabili colpi di scena che avviliscono le vite di tutti gli impiegati passati, presenti e futuri dell’agenzia di Madison Avenue.
In questa sesta stagione assistiamo a un progressivo straripamento dell’ego di Don Draper, che sovrasta il mondo circostante e finisce per riflettersi nelle azioni e nelle motivazioni dei subalterni come in uno specchio deformante. Pete Campbell prosegue la sua caduta libera attraverso gli inferi, e il suo personaggio acquisisce sempre più i toni della macchietta. Duramente provocato da Don, è perdente in partenza; la sua ira lo fa precipitare dalle scale mentre sbraita le proprie ragioni, di per loro più che sensate. Trudy non lo lascia rientrare nella dimora di famiglia nei sobborghi, ma il colpo di grazia gli viene assestato nei corridoi di un’allegra casa di tolleranza a New York: è lì che Pete si imbatte nel suocero, che sta uscendo “dalla camera della prostituta più grossa e più nera che si sia mai vista”. Il fattaccio ha le sue conseguenze, ma sono negative solo per Pete: l’azienda del padre di Trudy abbandona i servizi della SCDP e la moglie non vuole sentire una parola sull’accaduto. Nessuno ormai lo rispetta più; nessuno lo ascolta e nessuno vuole riconoscergli un grammo di dignità.
Il fenomeno della “draperizzazione” dei personaggi prosegue qui soprattutto per Peggy Olson, portando a compimento quanto cominciato con l’apertura del precedente “The Flood”. Ironicamente presentata nella posizione tipica di Don, spalle al pubblico e sguardo rivolto all’esterno, a un futuro (fosco, sfavillante o mediocre?) mentre guarda fuori dalla finestra dell’appartamento che vorrebbe acquistare, la Peggy di questi episodi non ha mai smesso di farsi ostinatamente strada nel mondo. Ma la casa che le sue tasche potrebbero permettersi non è ancora il lussuoso appartamento di Don e Megan nell’Upper East Side, e si trova anzi un po’ più a est di quanto auspicato (“In effetti, più a est di così non si potrebbe andare; si riesce a vedere l’autostrada”). Peggy non riesce a ottenere nulla: l’affare non va in porto e in “For Immediate Release” la troviamo assieme al compagno Abe in un buio e fatiscente bilocale. Peggy non riesce a lasciarsi alle spalle il degrado urbano per poter finalmente vivere il proprio patinato sogno borghese, per altro rifiutato a scatola chiusa da Abe, perché Peggy ha ereditato il cinismo di Don, ma non ancora il suo potere.
Lo stesso Don Draper va in scena in “For Immediate Release” preda di un poco discreto delirio di onnipotenza. Prende decisioni fondamentali senza interpellare nessuno, togliendosi la soddisfazione di mandare a quel paese la famigerata Jaguar. Aspramente redarguito dai partner, in particolare da Joan, sacrificatasi per nulla, viene salvato in corner da Roger, che con uno stratagemma machiavellico ha arpionato la Chevrolet. Don salva paradossalmente la faccia, anche se Pete non manca di sottolineare la casualità della circostanza: “Non comportarti come se avessi avuto un piano: sei Tarzan, salti da una liana all’altra”. Il monito di Joan è un drammatico e accorato: “Solo per una volta vorrei sentirti usare la parola NOI”, ma a Don basteranno un paio di giorni per dimenticarsene. Al fatidico meeting con la Chevy a Detroit appare infatti l’immancabile Ted Chaough. Il confronto tra i due, naturalmente appostati al bancone di un bar, porterà a un colpo di scena: Don e Ted, compresa la debolezza delle rispettive compagnie come concorrenti, decideranno di fondere le agenzie senza chiedere il parere di nessuno.
Ed è così che il peggiore incubo di Peggy Olson prende vita: convocata nell’ufficio di Ted per ragioni che la nostra creativa interpreta erroneamente come romantiche, scoprirà di essere tornata esattamente là dove aveva cominciato, ovvero sotto l’ala soffocante del radioso padre-padrone Don. L’aspetto benefico della draperizzazione è fallito: Peggy non può emanciparsi, ma solo dibattersi nella rete che si è cucita addosso (mutuo, posizione professionale, ambizioni).
Restaurati lo status quo e il disagio collettivo, a vegliare sul caos della vita alla SCDP c’è ancora l’inquietante Bob: sempre sorridente, sempre armato di tazze di caffè da offrire nei momenti meno indicati, il misterioso impiegato è persino desideroso di pagare i conti di Pete alla casa di malaffare; ed è probabilmente già in possesso dell’anima di qualche sbadato account, dimenticata sul fondo di un cassetto in attesa di tempi migliori.
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Regista: - Sceneggiatore:
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@Chiara: Non riuscivo a crederci, ho dovuto fermare l’episodio, forse uno dei momenti più uao mai visti in Mad Men! Tanta stima. *_* Sulla fusione sono preoccupato per Peggy.
Joan che prende Don a male parole, mille punti: adoro ogni interazione tra loro due, sempre. finale di puntata magnifico: finora gli stravolgimenti lavorativi hanno sempre giovato a Mad Men, non vedo l’ora di vedere il seguito.