Louie è una serie tv creata, diretta e interpretata dallo stand-up comedian Louis C.K. e trasmessa dal 2010 sul canale FX. C’è chi la definisce comedy, dramedy, persino sit-com – quando invece la sua natura più profonda è proprio quella di negazione della sit-com classica; difficile etichettare un prodotto così sfuggente. Perché Louie è il risultato di una ricerca portata avanti con piena libertà ideativa ed esecutiva, il laboratorio creativo in continua evoluzione di Louis C.K. Un’impostazione che emerge nella sperimentazione di forme e stili, nell’uso libero degli attori, spesso inverosimili rispetto ai personaggi, spesso riutilizzati in più ruoli incompatibili, nella creazione di un ibrido completamente nuovo, per cui la parola “comico” risulta così inadeguata. Non che manchino i momenti schiettamente umoristici, anzi: la serie  dedica ampi spazi alle divertenti performance di Louie al Comedy Cellar di New York (spazi che però – va notato – si contraggono con l’avanzare delle stagioni, fino a diventare quasi marginali nelle ultime puntate della terza), indulge spesso su un umorismo grottesco e “corporale”, fatto di masturbazione e flatulenze e, in particolare nella prima stagione, presenta una struttura fatta di episodi giustapposti, quasi del tutto slegati, che vedono Louie fronteggiare diverse situazioni paradossali (il cinico umorismo del Dr. Ben, le relazioni omosessuali della vecchia madre, lo sregolato vicino di casa etc). Ma tutto in Louie sembra qualcos’altro. Ogni topos, luogo comune, riferimento è trasfigurato, come se ci fosse un impercettibile scarto che rende tutto straniante e alieno. Parafrasando le parole di Louie stesso potremmo dire che “(he) tells great jokes. They’re not like anybody else’s jokes”. Sono spiazzanti, goffi e amari e mettono tutti a disagio. Come un “gorilla into the ballet”.

Ma veniamo alla storia, se così si può chiamare. Louie è un quarantenne divorziato, padre di due bimbe, Jane e Lilly, delle quali ha l’affidamento congiunto, una vita divisa tra le figlie, gli amici, gli spettacoli serali. Niente di sconvolgente ma al contempo niente che sia uguale ad altro già visto, prima di tutto la persona/personaggio stesso di Louie. Certo l’idea del comico goffo, sovrappeso, poco disinvolto con le donne è tutt’altro che nuova. Ma manca totalmente l’uso strumentale di questi elementi come espediente comico, l’ammiccare al pubblico, il compiacimento. La fisicità di Louie è buttata sullo schermo in tutta la sua inadeguatezza perché così è e non c’è nient’altro da aggiungere. Allo stesso modo la sua totale incapacità di trovare le parole giuste nel confronto con gli altri – paradossale per un comico che ha nella capacità dialettica la sua forza – non è pensata per essere solamente divertente né lo sono le situazioni di equivoco che crea. E questo succede perché in Louie entra prepotentemente un elemento che manca, nella sua forma più onesta, in qualsiasi comedy: la vita. Ma non quella porzionata e servita a tranci, non la vita offerta nella sua versione risolta e pacificata, anche i conflitti sviluppati e conclusi in un insieme ordinato. E’ come la storia raccontata alla produttrice nella puntata 2×10 Halloween/Ellie di un uomo a cui tutto va storto, che incontra una donna e pensa sarà la svolta e invece la relazione non funziona e tutto va peggio e così via. Non c’è una sola puntata in Louie che si concluda con una risoluzione, con una via d’uscita sicura, con una morale chiara e inequivocabile, qualsiasi sia la tematica affrontata, la religione, l’omosessualità, i rapporti umani nelle loro ambiguità, l’incomunicabilità o la relatività di ogni situazione.

Nella 1×02 Poker/Divorce il denso discorso sull’omosessualità alterna le argomentazioni in prima persona, sentite ma mai pedanti, a rovesciamenti comici, senza che le rinegoziazioni portino mai ad un vero punto di incontro. Nella 1×09 Bully, la più bella puntata della prima stagione, lo scontro con dei ragazzi violenti in una tavola calda porta alla luce contraddizioni non affatto scontate – senza risolverne ovviamente nessuna: le aspettative nei confronti del “maschio”, in bilico tra il riconoscimento apparente del valore dell’intelligenza che non teme di esporre anche la propria debolezza e desiderio di soluzioni più animalescamente dominanti; l’alternanza di sfogo violento e ripiegamento intimistico nell’incontro tra Louie e la famiglia del “bullo”, che svela il gioco di forze sotto ogni scelta, ogni comportamento, ogni evoluzione personale (violenza latente che torna nella 1×11 God come violenza della religione, del dogma e della rappresentazione di esso, del senso di colpa imposto). Un altro esempio di finale aperto, il più sconvolgente perché lascia irrisolto e in dubbio un suicidio annunciato, è la 2×09 Eddie in cui il proposito di un amico comico spiantato di togliersi la vita non è gesto eclatante e tantomeno scatena reazioni enfatiche nel suo interlocutore: tutto è banalmente logico e lineare, privo di sensazionalismi, da una parte il racconto di Eddie, fatto di piccole miserie, non sfortuna ma risultato di scelte consapevoli, percorso a cui semplicemente è tempo di porre termine; dall’altra la risposta di Louie, per nulla solenne, senza retorica, senza appelli ad un’amicizia che non c’è più, senza promesse di cambiamenti futuri, imperscrutabili, solo la speranza che non lo faccia, in fondo, e il salutarsi con la consapevolezza di non poter fare niente di più.

L’ambiguità delle relazioni umane, insieme alle difficoltà di comunicazione, resta il più importante e solido fil rouge della serie. Ogni incontro in Louie è scontro tra vissuti, linguaggi e desideri diversi che mai riescono a rendersi comprensibili l’uno all’altro, perennemente condannati alla frustrazione. Scontro con la verbalizzazione ossessiva di April, con la sessualità prepotente di Laurie, con il vitalismo pieno di ombre di Liz, con le nevrosi di Delores. Ma è anche e soprattutto nei confronti degli uomini che si gioca questa ambivalenza, come nella 3×03 Miami, in cui Louie non può godere a pieno della felicità data dalla nuova amicizia con un ragazzo del posto perché sentimento impossibile da esprimere e comunicare senza che venga frainteso. L’unico apparente superamento di questo scoglio è il rapporto con Pamela, al centro di una puntata straordinaria, la 2×06 Subway/Pamela (si sappia, se non vi innamorate di Louie a Subway/Pamela siete perduti): ma anche in questo caso il rapporto si risolverà con una separazione e un fraintendimento, al gate d’imbarco dell’aeroporto, la scena più buffa, tenera e struggente della serie. In questo universo di incomprensione l’incapacità di comunicare si combina alla relatività di ogni situazione: oltre al citato Bully, l’episodio che meglio rappresenta questo aspetto è il 3×06 Barney/Never, col cameo di Robin Williams, in cui anche un odioso manager, la cui morte lascia tutti indifferenti, può avere un posto speciale nel cuore di qualcuno (anche se quel qualcuno sono spogliarelliste e dipendenti di uno strip-club).

Ci sarebbe ancora tanto da dire su Louie, sull’evoluzione della terza stagione, sulla sua struttura drammaturgica che si fa sempre più articolata e compatta, il tono ancora più riflessivo. Le tre puntate (3×10-11-12) sul Late Show e la puntata di chiusura mostrano con tutta evidenza una maturazione e un desiderio di tirare le fila del discorso impostato fin ora con sempre più incisività: la comunicazione indecifrabile o fraintesa, nel bene (la scena finale con la famiglia cinese, liberatoria perché dichiaratamente straniera, per una volta) o nel male (gli inganni e le mistificazioni dello show business), l’instabilità e fragilità di ogni momento felice, che sia il successo televisivo o l’incontro con Liz. Vi lasciamo il piacere di scoprire Louie da soli – e il tempo c’è, la quarta stagione sarà trasmessa da maggio 2014 – certi che non potrà non divertirvi otoccare qualche corda scoperta. Wave to me! Yes, Louie, we’ll wait for you.

Scritto da Barbara Nazzari.

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