Arriva l’autunno, e con lui i telefilm. Per noi amanti della serialità, è il momento irrinunciabile dell’arrivo delle nuove stagioni di serie vecchie e, soprattutto, delle decine di pilot di serie nuove. Secondo la ferrea legge del dollaro, alcune di queste trionferanno, altre arrancheranno, altre ancora non giungeranno a fine anno, e ad ogni novità noi spereremo di trovarci di fronte il nuovo Breaking Bad o il nuovo True Blood. Come si vedrà di seguito, raramente va così di lusso; ecco il punto della situazione pilot 2011/2012 secondo i Blogger Erranti.

2 Broke Girls (CBS)

Umorismo di bassa lega e formato sit-com di 15 anni fa per questa comedy su due cameriere (la povera e la ex-ricca, la bitch un po’ tamarra e la stupida incapace di cavarsela) che si ritrovano a condividere casa, lavoro e l’obiettivo di aprire una pasticceria. Pessimo pilot, con tanto di battute becere e (mica poi tanto) sottilmente razziste. No grazie.
Perché sì: i maschietti troveranno certo interessanti le “qualità” di Kat Dennings.
Perché no: per tutto il resto.

A Gifted Man (CBS)

Un talentuoso neurochirurgo viene “visitato” dal fantasma della ex-moglie, che mette in crisi tutte le sue razionalissime certezze. A dispetto delle noiose premesse, il pilot coinvolge, ha il giusto ritmo e la direzione degli attori risulta impeccabile: il merito va indubbiamente alla regia di Jonathan Demme, ma è probabile che i prossimi episodi, privi della sua firma, naufragheranno nella mediocrità.
Perché sì: grazie a Patrick Wilson, il suo Dr Holt potrebbe diventare un gran personaggio col giusto grado di conflittualità interiore.
Perché no: la storia del fantasma buono che umanizza il dottore freddo come il ghiaccio trasuda noia e melensaggini.

American Horror Story (FX)

Famiglia con issues da risolvere si trasferisce in vecchia casa che urla “qui morti misteriose” da un km di distanza. Inizio discontinuo per la nuova creatura di Ryan Murphy, che inanella un cliché horror dopo l’altro, anche se la regia è a tratti interessante e diverse scene sono indubbiamente riuscite.
Perché sì: c’è del potenziale, ci sono Connie Britton e Frances Conroy e non si vede tutti i giorni una serie autenticamente “di genere”.
Perché no: casa maledetta, presenze misteriose, teenager disturbati – tutto già visto, e non fa nemmeno paura. E Dylan McDermott non sa recitare.

Charlie’s Angeles (ABC)

Dopo 3 anni di attesa(?) arriva Charlie’s Angels, reboot della patinata serie americana degli anni 70. Tante novità di rilievo (?): la scena si sposta a Miami, ci sta l’afroamericana e le donne sono ancora più indipendenti e cazzute. Nel pilot una muore e un’altra arriva; per i prossimi 13 episodi,  verosimilmente, non succederà nient’altro di rilevante.  Estetica videoclippara, totale mancanza di inventiva e di pathos, ibridazioni con Sex & the City (Abby: “Per aprire una cassaforte così l’ultima volta ho impiegato due minuti ma avevo bevuto due Cosmopolitan ed ero appesa a testa in giù”) , tutto il peggio che la tv può offrire è condensato in questa fiacchissima operazione nostalgia. Farrah, rest in peace.
Perchè sì: l’uso forsennato che tutti fanno dell’Ipad è pur sempre un omaggio a Steve.
Perchè no: c’è anche di peggio; ma non ci viene in mente.

Hart of Dixie (THE CW)

The CW cerca invano di miscelare gli ingredienti delle sue serie di maggior successo: la giovane dottoressa newyorkese Zoe Hart (una Rachel Bilson con l’ambizione sfrenata e imperturbabile di Blair Waldorf) viene trapiantata a Bluebell, Alabama, quintessenza della small town nel profondo sud degli USA. Scontatissimo il motore delle vicende: Zoe dovrà scoprire il proprio lato umano per non essere ostracizzata dagli autoctoni.
Perché sì: l’ambientazione non delude e il “Southern drawl” della versione originale è puro godimento linguistico.
Perché no: l’overdose televisiva di medici e di outsider metropolitani nelle cittadine di provincia ha già mietuto abbastanza vittime.

New Girl (FOX)

Dopo essere stata tradita dal fidanzato, una giovane ragazza si trasferisce in un appartamento abitato da tre ragazzi single. Lo show trova il suo punto di forza nell’irresistibile presenza scenica di Zooey Deschanel, perfetta nel ruolo della tenera e goffa Jesse. I personaggi maschili, però,  non hanno né l’originalità né la forza della protagonista. “New Girl” non è quindi un colpo di fulmine, ma il potenziale per crescere e strappare qualche risata in più c’è.
Perché sì: per la performance di Zoey Deschanel, una delle migliori della stagione. Da (ri)scoprire in (500) Giorni insieme.
Perché no: tutto quello che non è Zooey è da “coltivare”.

Pan Am (ABC)

La abc ci invita a prendere il volo e a tornare nell’America anni ’60 insieme alle hostess e ai piloti della Pan Am, l’ex azienda aerea simbolo degli Stati Uniti.  L’innocenza di un paese, pre-omicidio Kennedy, rivive in questo soap drama in cui le assistenti di volo, donne bellissime e perfette, sono le icone dell’emancipazione femminile e del sogno americano. Lo show, estrememente patinato, ci porta all’interno di una serie di intrighi, amori e tradimenti internazionali da soap, ma c’è spazio anche per un accenno di introspezione generazionale.
Perchè sì: uno sguardo diverso dagli attuali telefilm ambientati negli anni ’60.
Perché no: l’uso baraccone del green screen.

Person of Interest (CBS)

Ennesimo plot poco originale, nonostante la firma di Jonathan Nolan: ex agente CIA alla deriva viene reclutato da Ben Finch (Michael Emerson), inventore pentito di una macchina antiterrorismo che controlla tutto (email, videocamere, telefoni) e previene i crimini “rilevanti” e “irrilevanti” per il Paese. L’obiettivo è sventare i secondi, tralasciati dalla macchina ma in realtà ben più diffusi e pericolosi per il quotidiano vivere dei cittadini.
Perché sì: bravi attori, tematiche post-9/11 e un po’ di sana azione supereroistica da parte di un freddissimo Jim Caviezel.
Perché no: zero credibilità e un ennesimo procedurale di cui non si sentiva il bisogno. E poi basta tematiche post-9/11.

Revenge (ABC)

Liberamente ispirato a “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas, oltre che alla letteratura la serie deve molto della sua riuscita al funzionale utilizzo degli elementi caratterizzanti del genere soap-drama, un  filone televisivo basato su scandali borghesi, lussuriosi tradimenti e qualche bitch in charge.  L’intrattenimento settimanale funziona anche grazie all’ottima caratterizzazione delle due protagoniste, la diabolica Emily (Emily VanCamp) e  la glaciale Victoria (una ritrovata Madeleine Stowe), e a un racconto solido che invoglia alla visione.
Perché sì: se è vero che la vendetta è un piatto che va servito freddo, abbiamo un’intera stagione di guilty pelasure.
Perché no: per il potenziale limitato della serie: cosa succederà negli Hamptons a vendetta conclusa? Il meccanismo “revenge of the week” rischia di stancare.

Ringer (THE CW)

Bridget, alcolista in rehab e testimone oculare di un omicidio mafioso, trova il “nascondiglio” perfetto sostituendosi alla gemella scomparsa, all’insaputa dell’entourage di quest’ultima. Ovviamente la facciata dorata della vita neworkese upperclass rivela presto segreti, tradimenti e intrighi ben più pericolosi di quello che Bridget crede di essersi lasciata alle spalle. Una struttura di grande potenzialità che risente però dell’eccesso di sottotrame e conflitti mal amalgamati, nonchè di una regia piatta, di un uso dozzinale del green screen e di una caratterizzazione dei personaggi che va poco oltre gli stereotipi.
Perché sì: tre motivi: Sarah. Michelle. Gellar. E la speranza che la sua ottima interpretazione venga supportata da uno sviluppo migliore dell’idea di fondo.
Perché no: il bombardamento di subplot già nel pilot rende ancor più inverosimile la facilità con cui Bridget si “trasforma” nella sorella senza che nessuno se ne accorga.

Suburgatory (ABC)

Ci piacciono le commedie liceali argute e cattivelle (vedi alle voci Mean Girls e Easy A), da cui questa comedy attinge a piene mani. Premessa narrativa un po’ debole (per una scatola di preservativi padre single trasferisce di forza la figlia teenager da Manhattan al più plasticoso dei sobborghi) ma battute divertenti e personaggi secondari con grande potenziale. Promosso.
Perché sì: dialoghi sferzanti e situazioni divertenti che scorrono piacevolmente una dietro l’altra.
Perché no: sa un po’ di già visto, non tutti gli spunti comici sono proprio riusciti, Jane Levy non può competere con Emma Stone.

Terra Nova (FOX)

Nel 2149 il pianeta è al collasso ecologico; tra aria irrespirabile e controllo delle nascite l’unica soluzione è la frattura temporale che permette la missione Terra Nova – controllare il passato per salvare il furturo. Ma tornare indietro di 85 milioni di anni non cancella la minaccia umana, spesso più pericolosa di dinosauri e forze della natura. Premesse interessanti à la Lost / Signore delle Mosche, soffocate però da una sceneggiatura debole, da innumerevoli incongruenze e soprattutto da personaggi privi di spessore e da un pathos iperglicemico da soap opera.
Perché sì: l’impatto visivo non è da poco, specie per i nostalgici di Jurassic Park, e ci sono alcuni buoni spunti che potrebbero dar linfa vitale ai prossimi episodi.
Perché no: la sceneggiatura fa più acqua delle (splendide) cascate primordiali e l’inondazione di family drama fallisce miseramente in assenza personaggi ben costruiti.

Unforgettable (CBS)

Carrie Wells è una detective con un dono (!!!), l’ipertimesia: una rara sindrome che le permette di ricordare ogni evento con estrema precisione. Tra un caso e l’altro la ragazza cercherà di fare chiarezza sull’omicidio della sorella. Il cast è evidentemente imbarazzato e fuori parte, e l’unico tratto distintivo dello show, “la memoria di ferro”, è penalizzato da virtuosismi stilistici discutibili (la protagonista si muove – basita – nei suoi telefonatissimi ricordi) e da una sceneggiatura priva di originalità.
Perché sì: se vi piacciono i procedurali crime, potete aggiungere Unforgettable alla lista.
Perché no: la protagonista non può dimenticare; i telespettatori sì.

Up All Night (NBC)

La storia è banale -due neogenitori alle prese, controvoglia, con i cambiamenti che la loro nuova condizione comporta- ma la caratterizzazione dei protagonisti funziona grazie ai due interpreti principali, Will Arnett e Christina Applegate, coadiuvati da una grande Maya Rudolph. Il ritmo va un po’ perfezionato, ma c’è tempo.
Perché sì: si parla di genitorialità in modo spiritoso e senza schiaffare la bimba in ogni scena.
Perché no: si ride troppo poco, e il rischio del sopra le righe è sempre in agguato.

GUIDA AI TELEFILM 2012/2013

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