Breaking Bad 4×07: la recensione
C’è sempre una puntata, nelle varie stagioni di Breaking Bad, nella quale i personaggi, ognuno per proprio conto eppure ognuno inestricabilmente connesso in una rete di relazioni e di collegamenti causa-effetto dal sapore a volte tragico e a volte ridicolo, decidono da che parte stare, di chi fidarsi e come comportarsi. Questa 4×07 è in gran parte quel tipo di puntata, nella quale i nodi della sceneggiatura iniziano a convergere gli uni verso gli altri, e i personaggi si stanno ricollocando in quelle che dovrebbero essere le caselle dello scontro finale. Unica incognita, o variabile impazzita, il nostro loser preferito, quel Jesse Pinkman la cui anima è continuamente messa in gioco da Walter e, in questa stagione, da Gus – una partita che però Walter sembra stia perdendo dall’inizio della stagione.
Ecco quindi Jesse che sta cercando ancora una volta di ripulirsi, così come sta ripulendo la propria casa (mai come in queste puntate è stato forte il collegamento allegorico fra la condizione di Jesse e la condizione del luogo in cui il personaggio vive), e continua a seguire Mike nelle operazioni di tutti i giorni, arrivando ad affrontare, e non accettare – in una di quelle splendide prove d’attore alle quali oramai Aaron Paul ci ha abituato – l’assassinio che ha commesso. E Walter, sempre più intrappolato fra le indecifrabili mosse di Gus e il nuovo equilibrio familiare imposto da Skyler, che cerca il modo di sfogarsi e di risolvere un conflitto che sa di non avere in mano. Ma anche per l’infallibile Gus si prospettano tempi difficili: i cartelli della droga messicani si sono indispettiti per il suo comportamento, e hanno iniziato a reagire in maniera seria; e Hank, su vanitosa e ubriaca imbeccata di Walter, dopo aver esaminato più a fondo la scena del delitto di Gale, intuisce un collegamento diretto fra il blue meth e Pollos Hermanos.
Se nella 4×03 il diavolo era nei dettagli, in questa nuova puntata di Breaking Bad il diavolo è negli oggetti. Oggetti passati di mano o trafugati, nascosti, analizzati, indagati – soprattutto dalla camera da presa, che vi insiste sopra in primi piani e dettagli che ben fanno emergere le ossessioni che questi oggetti incarnano o incanalano, e le scelte, cariche di conseguenze e di significati, che i personaggi scelgono di compiere a riguardo di questi oggetti. C’è la pistola di Pinkman, tramutata da giocattolo in vera da quel glaciale traghettatore di Mike, segno della continua evoluzione (sempre eterodiretta) del personaggio; la fialetta di veleno di Walter, un distillato di tutta l’amarezza per l’incapacità di essere all’altezza delle proprie aspettative (e che viene ovviamente data in gestione a Pinkman); il bicchiere di Pollos Hermanos, l’inghippo più stupido e prevedibile nel quale un genio come Gus possa inciampare; l’automobile prima fatta sgommare in tondo e poi fatta esplodere da Walter, sempre più spesso vittima dei suoi stessi attacchi di frustrata isteria (tanto da far risultare quella buon’anima del Saul come la voce della ragione – una ragione distorta e grottesca, ma che comunque risulta quasi normalizzatrice rispetto a quanto sta compiendo il nostro professore ultimamente).
Le fila insomma si stanno tirando, e se Walter non inizia a trovare la quadra*, non è detto che riesca a cavarsela con il solito, brillante e disperato, colpo di coda con il quale è riuscito a sfangarla fino a questo momento.
*mi si perdonerà la citazione bersanesca, ma è quanto di più inconsapevolmente adatto il momento storico può offrirci ai fini della disanima narrativa di Breaking Bad
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d’accordissimo, 5 bussole meritatissime per una puntata impeccabile