64° Festival di Cannes – Vincitori e Diario Vol. III
E così siam giunti alla fine. La croisette si è svuotata e al posto degli abiti da sera son tornati i ragazzi in costume e maglietta. Davanti al palazzo del cinema non restano che i segni di un festival che è già ricordo. E allora con la memoria torniamo indietro, ai giorni di film e proiezioni appena trascorsi. La mente corre subito a lui, Terrence Malick, palma d’oro in pectore sin da quando il suo nome è stato visto per la prima volta nel programma del concorso.
Malick è Malick. Avrebbe probabilmente potuto presentare qualsiasi cosa, anche un filmino girato in casa in super8 (fra l’altro proprio a Cannes son stati presentati in anteprima alcuni minuti dell’omonimo film di JJ Abrams); avrebbe vinto lo stesso. Il suo “The tree of life” è stato un film discusso, accolto con iniziale freddezza, e apprezzato col tempo. A noi, in tutta onestà, non ha entusiasmato.
Se si pensa però alle discussioni, il trionfatore non può essere che Lars Von Trier che, con le sue assurde dichiarazione, ha catturato l’attenzione ben più del suo “Melancholia”. Al film, o meglio alla sua protagonista Kristen Dunst, è comunque spettato il premio per la miglior interpretazione femminile che la bella attrice ha potuto ritirare sul palco della sala Lumiérè (lei si, persona ancora gradita sulla croisette). Da un’attrice a suo modo rivelazione ad un altro attore, la cui grande interpretazione non poteva che meritare il riconoscimento più alto. Jean Dujardin e il suo “The Artist” hanno infatti acceso i cuori di tutti i cinefili presenti a Cannes che ora sperano che altri, grazie a qualche ardita casa di distribuzione, possano assistere, nelle sale dei propri paesi, alla proiezione di questo piccolo gioiello. Non ce ne vogliano i bravissimi Sean Penn e Michel Piccoli, interpreti magistrali per i nostri Sorrentino e Moretti, la palma doveva andare ed è andata al migliore.
Chi certamente non sorprende sono i fratelli Dardenne, ormai abituè del festival. Due palme (Rosetta e L’enfant) e un’amore viscerale che li lega a questi lidi. Non poteva dunque mancare un riconoscimento per il loro “Il ragazzo con la bicicletta”, premiato proprio dalla giuria con il Gran Prix (assegnato ex equo con il bel “Bir Zamanlar Anadolu’da” del regista turco Ceylan, pellicola sterminata come l’Anatolia). Così come non ha sorpreso, almeno chi ha avuto l’occasione di leggere una pagina di un quotidiano francese durante il festival, il premio che la giuria ha riservato a “Polisse”, poliziesco di dubbio gusto che presto vedremo anche da noi in Italia. Eh si, perché se la memoria corre ai premi, non può però dimenticare il mercato.
Cannes è infatti, oltre, forse anche più, che un festival, un grande mercato in cui tutte le distribuzioni del mondo vedono e decidono cosa vedremo nelle nostre sale. Chissà ad esempio se vedremo “Drive”, del danese Refn, vincitore della miglior regia eppure (purtroppo) quasi sconosciuto in Italia o Footnote dell’israeliano Cedar premiato per la miglior sceneggiatura. Sarebbe davvero un peccato non poter assaporare il gusto di pellicole così interessanti.
Non ci dispereremo invece se nessuno distribuirà i due vincitori di Un certain regard (sezione che, secondo noi, merita spesso molta più attenzione del concorso). “Arirang” di Kim Ki Duk e “Stopped on the track” di Andrea Dresen sono forse due delle più grosse delusioni di questo festival di Cannes. Il tempo però ora è davvero finito. Nessuno grida più “invitation”, alla ricerca di un biglietto per la prima. Un ragazzo spazza il selciato accumulando pagine di vecchi giornali e ricordi di un festival, mentre noi stiamo per tornare a casa… pronti per ripartire.
Fonte: The Hollywood Reporter
Scritto da Giampiero Tempesta.
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