Mad Men 6×04: la recensione
To Have and to Hold è il quarto capitolo della nuova stagione di Mad Men, diretto da Michael Uppendahl e scritto da Erin Levy. L’attenzione si focalizza sulle protagoniste femminili, sui loro successi professionali e sulle difficoltà pubbliche e private che affollano le loro esistenze di donne lavoratrici. Joan tenta di licenziare una sottoposta e scopre di non poter esercitare pienamente la propria autorità di partner e capo del personale; Megan è alle prese con una casta scena d’amore nella sua soap opera e con una proposta ben più imbarazzante; Peggy abbandona le ultime remore etiche e sfida gli ex datori di lavoro sul loro stesso campo; Dawn, la segretaria di Don, vive i tormenti di iniziazione alla vita aziendale.
L’episodio si apre nell’appartamento di Pete riagganciandosi ai motivi del precedente The Collaborators. Pete Campbell e Don Draper sono impegnati in un meeting segreto col famigerato ketchup Heinz: la tanto sbandierata fedeltà di Don agli omonimi fagioli ha vissuto solamente nello spazio ellittico tra una puntata e l’altra. Come dei cospiratori, i due coinvolgono Stan nel misterioso “Project K”, per venire subito smascherati dall’ineluttabilità degli eventi. L’ex protégée Peggy Olsen ha scelto come loro la strada dell’infedeltà: nuova nemesi dei colleghi di una volta, li fronteggia al successivo appuntamento, dove i vertici della Sterling Cooper Draper (fu Pryce) scoprono di essere stati solo pedine nell’implacabile gioco del mercato. E non perderanno solo la partita, ma anche la faccia: “Non c’è nulla di meglio che essere noti per la propria lealtà” è l’amaro commento di Ken Cosgrove. L’emancipazione di Peggy passa attraverso l’imitazione delle strategie di Don, che la ascolta sconvolto citare le sue parole (“Se non ti piace quello che dicono, cambia la conversazione”) mentre tenta di portargli via il cliente nella stanza d’hotel per la quale lui stesso ha pagato. La guerra viene però vinta dalla proposta di un terzo concorrente, ovvero J. Walter Thompson, la cui agenzia è realmente esistita al di fuori dell’universo narrativo della serie TV.
La star di To Have and to Hold è però Joan Harris. Come capoufficio tenta inutilmente di licenziare Scarlett, la svenevole segretaria di Harry Crane, ma è nelle vesti di socia della SCD che subisce l’ennesima umiliazione quando l’impiegato la sfida apertamente mettendo in piazza i pettegolezzi che la circondano. La brutalità di Harry non viene punita, ma soltanto redarguita dalle parole di un Bert Cooper in calzini: “Io ero molto diverso da lei, signor Crane”. Come Don Draper, anche Joan è classica; nel 1968 veste come nel 1960, ancora ispirata dal fantasma della sua eroina Marilyn. Ma il fantasma che la frustra oggi è quello del Natale passato, mentre l’amica Kate la trascina in un locale per teen-agers dove non vengono serviti alcolici e gli uomini cercano ragazzine decisamente meno mature. Il presente è invece un club dalle luci psichedeliche dove Joan è altrettanto fuori posto, mentre sulle note di Serge Gainsbourg e Brigitte Bardot risponde annoiata all’approccio poco garbato della gioventù odierna. Il classico ormai è fuori moda e il tempo di Joan è già stato. Ma nulla è accaduto invano; nonostante sia difficile farsi rispettare, oggi come ieri, lo specchio che riflette la sua immagine conferma, attraverso gli occhi della madre e dell’amica, quello in cui non riesce a credere da sola: che ha avuto successo, che ce l’ha fatta con le sue forze e che è una delle pochissime donne a poterlo dichiarare.
Finalmente conosciamo meglio la nuova segretaria di Don, assunta nella quinta stagione per dimostrare che la compagnia non è razzista. Dawn è, infatti, l’unica afroamericana a frequentare l’edificio, e probabilmente anche il quartiere. Il suo è un chiaro caso di “tokenismo“, ossia la pratica di assumere qualcuno perché parte di una minoranza etnica, al solo scopo di dimostrare che la propria azienda non esercita politiche discriminatorie; e il personaggio di Dawn potrebbe tranquillamente chiamarsi Token, come l’unico bambino nero di South Park. È per questa ragione che Dawn, coinvolta suo malgrado nell’affaire Scarlett, non può essere licenziata (e non semplicemente perché è una brava segretaria, come invece sottolinea Don). La sua parabola professionale prende una piega imprevista nel modesto ufficio di una Joan in pieno hangover, che decide di sanzionarla affettuosamente affidandole maggiori responsabilità.
In questa sesta stagione è proprio Dawn a tracciare un puntualissimo ritratto dell’agenzia: “Tutti lì dentro hanno paura. Le donne piangono nelle toilette, gli uomini piangono negli ascensori. Quando portano via la spazzatura sembra capodanno: ci sono solo bottiglie vuote; e ti ho già raccontato di quel poveretto che si è impiccato nel suo ufficio”. È una descrizione che ammicca allo spettatore affezionato, riassumendo in pochi tratti caricaturali l’atmosfera angosciosa della vita lavorativa in Mad Men. Nemmeno Don è esente dall’autoironia degli autori, che lo prendono di mira con una battuta della collega di Megan, preoccupata che “James Garner” possa prendere male la scena d’amore che la moglie dovrà girare. Sarà sempre la collega Arlene, assieme al marito, a rivolgere senza tante cerimonie una proposta indecente agli sbigottiti signori Draper, coppia sì moderna, ma poco incline a cotanto eccesso. L’irriverenza verso il protagonista tutto d’un pezzo si trasforma però, presto, in una rappresentazione impietosa delle sue meschinità. Don, come predetto, in occasione del casto bacio televisivo farà una scenata che pare studiata a tavolino, e se ne andrà sbattendo la porta del camerino di Megan per farsi consolare dall’acquiescente e misericordiosa vicina di casa Sylvia Rosen.
Come sempre, Mad Men ci immerge nel mare torbido delle ipocrisie borghesi. Il non tanto velato tema della prostituzione torna simbolicamente nel penny che Sylvia lascia sotto lo zerbino per segnalare a Don la propria disponibilità, mentre Pete offre allusivamente l’appartamento a Don nel caso dovesse “trascorrere la notte in città”. Ma ad aprire un’altra breccia etica alla SCD sarà il guerrafondaio Ed Baxter, interpretato da Ray Wise. Guest star iconica in virtù dei trascorsi luciferini nei panni del tristemente noto Leland Palmer, il nuovo cliente dell’agenzia va ad aggiungersi alla schiera di personaggi che sembrano voler portare Don e soci oltre la famosa soglia presagita dalla première. Non osiamo immaginare cosa accadrebbe se alla prossima riunione con Baxter dovesse partecipare anche Bob…
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