Breaking Bad 5×07: la recensione
Breaking Bad, Say my name è l’atto formale di nascita di Heisenberg, non più semplice nome di copertura ma nuovo volto del fu Walter, risultato di un controesorcismo che libera da ogni traccia residua di umanità e di bene. Quel che resta è un re folle che si nutre di potere, arroganza e paura. Che, cieco, pensa all’espansione del suo impero mentre fuori si prepara la ghigliottina.
E a proposito di arroganza Walter raggiunge in questa puntata vette di virtuosismo mai toccate: nel proporre un nuovo accordo alla concorrenza – secondo il quale lui si occuperebbe della produzione e loro della distribuzione del prodotto in cambio del 35% dei guadagni – si abbandona a proclami e paragoni masturbatori su di sé e sulla blue meth da lui prodotta (coronati dal claim Do you really want to live in a world without Coca Cola?) e in cui, con grande accortezza, non manca di coinvolgere Jesse, strategia che continuerà ad applicare nel braccio di ferro con il ragazzo, ormai deciso ad abbandonare l’attività. You all know exactly who I am. I’m the cook. I’m the man who killed Gus Fring. Ma in ogni parabola criminale l’escalation di arroganza preannuncia inequivocabile l’esplosione della violenza, la caduta e la morte dell’antieroe. Dietro l‘Everybody wins di Buyout fa capolino, con sempre più insistenza, l’epilogo tragico alla Scarface, suggerito in Hazard Pay: Everyone dies in this movie.
Per ora l’accordo viene siglato, con un compenso di 5 milioni di dollari riconosciuto a Mike per l’intermediazione. Ma c’è un terzo socio che aspetta la sua parte ed è stanco dell’elusività di Walt. Lo scontro con Jesse al laboratorio è una delle sequenza più tese e concettualmente cariche della puntata. In primis per la sfrontatezza e la meschinità con cui Walter mischia atteggiamenti e argomentazioni contraddittorie, prima conciliante, poi manipolatore, abile nel dosare lusinghe e senso di colpa, infine rabbioso, sprezzante, sarcastico. In secondo luogo per la capacità di interpretare e rendere, con poche frasi lapidarie, un sistema di pensiero che è naturale deriva della morale del lavoro avulsa dall’etica, caratteristica del peggior capitalismo fagocitante. Le Tavole della Legge di Walt lo riassumono perfettamente: primo comandamento You want money and it’s not wrong to want it; secondo comandamento, come ebbe a dire Todd, It was him or us and I chose us; terzo comandamento, qualunque crimine tu abbia commesso, It’s done; non c’è paradiso ultraterreno che valga più del successo e del potere qui sulla terra. Da questo punto di vista Todd, promosso a nuovo collaboratore al posto di Jesse, è una perfetta incarnazione di tutto questo: tanto ligio e attento sul lavoro (nonostante l’occhio spento da minus habens non prometta niente di buono), tanto indifferente e cinico su ogni altra questione. Eppure l’intera costruzione scricchiola alle parole di Jesse, You don’t wanna pay me, I don’t care, che sconcertano Walter, incapace di comprendere come una persona possa rinunciare a tutto, al proprio “potenziale”, per riconquistare uno spazio di libertà e dignità umana.
Uno spazio di libertà manca ormai del tutto a Mike, stretto tra le indagini della DEA e il silenzio prezzolato dei suoi nove uomini in carcere. Grazie alle intercettazioni riesce a nascondere ogni prova prima che la polizia irrompa nella sua casa con una mandato di perquisizione. Non riuscirà a prevenire l’ennesima intuizione di Hank, che coglie in flagranza l’avvocato dei nove intento a distribuire in apposite cassette di sicurezza i soldi mensili per le famiglie. Una cappa funebre cala inesorabile. Da questo momento in poi ogni azione, parola o accadimento è pezzo tragico e al contempo beffardo di un ineluttabile disegno di morte: Walt che scrupolosamente toglie le cimici dall’ufficio di Hank, ignaro delle telecamere appena installate che lo stanno riprendendo; Mike in trappola, costretto a chiedere aiuto, per recuperare la sua borsa e lasciare la città, proprio a chi non avrebbe più voluto rivedere; Walt che si aspetta un ringraziamento, lui che è causa di ogni cosa successa finora.
Ed è la rabbia impotente, non certo il bisogno di avere i nomi degli uomini in carcere, ad armare la mano di Walter e fargli premere il grilletto contro Mike, Mike che gli sbatte in faccia la verità, che è troppo vicino a Jesse o forse suo complice, che è il nuovo nemico prescelto, dopo Gus Fring, per legittimare la propria distruttività. Un Jonathan Banks straordinario ci lascia così, alla fine di questa settima puntata, con la sua pace riconquistata per pochi attimi, in riva ad un fiume. A Walt, his pride and his ego non resta che l’inferno in terra a cui sta per andare incontro.
Scritto da Barbara Nazzari.
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