Skins: Pure, il capitolo dedicato ai vent’anni di Cassie, annuncia sin dal titolo la direzione che vuole darsi nel raccontare la storia di uno dei personaggi più amati della prima generazione. Ritroviamo Cassie, cameriera a Londra, che trascorre le sue giornate tra il lavoro e la stanza dell’appartamento iper-popolato e rumoroso in cui co-abita: è sicuramente più adulta e, almeno apparentemente, molto diversa da come la potevamo ricordare: sorride raramente, appesantita com’è da un alone di tristezza che non l’abbandonerà per tutta la durata del film. Dobbiamo, dunque, almeno sulle prime, accantonare il ricordo della Cassie adolescente, e quell’atteggiamento di stupore, apparentemente un pò frivolo, che la caratterizzava.

La Cassie di oggi sembra distante da ogni ipotesi di legame o coinvolgimento, decisa a fare in modo che nulla la tocchi e immersa in una evanescenza che, seppur espressa con atteggiamento diverso, è infondo la stessa della Cassie che già conoscevamo. Il titolo dell’episodio sembra racchiudere, identificandolo senza dubbi, il senso della storia che racconta: se è giusto intendere, il termine purezza come contrario di corruzione, allora Cassie è sicuramente incorruttibile.

Almeno la prima parte di Pure, sembrerebbe voler ricondurre il titolo all’idea di belezza: in questo modo in effetti si può intendere il nucleo centrale della trama che nell’evolversi degli eventi racconta di scatti eseguiti, all’insaputa di Cassie, da un misterioso fotografo che sembra riuscire ad immortalare sulla pellicola l’essenza della sua bellezza, la sua purezza. Scoperta l’identità del fotografo, Jakob suo giovane collega del bar, Cassie finisce per intrecciare una relazione con lui che lascia però nell’indeterminatezza di un rapporto platonico che si nutre esclusivamente di report fotografici. Grazie alle fotografie di Jakob, la protagonista sarà in seguito intercettata da un fotografo professionista che le proporrà di posare per un giornale di moda.

Malgrado le apparenze, però, quella che sembra essere la trama centrale del film viene in seguito lasciata sullo sfondo, senza alcuna volontà di approfondimento o di evoluzione. Allo stesso modo le relazioni intrattenute dalla protagonista nell’arco di tutto il ciclo narrativo mantengono un alone di indeterminatezza che non sembra lasciar intendere alcuna prospettiva di continuità. Jakob e Yaniv, entrambi innamorati di lei, la co-abitante/amica attrice, la collega del bar, tutte storie che si intrecciano a quella di Cassie, ma senza effetti significativi.

Trova così spazio una sorta di sottotrama che non racconta una vera e propria storia, ma mette in luce uno stato in essere. Il senso di Pure sembra costruirsi a poco a poco, e proprio all’interno di questa rete di relazioni, nei dialoghi seppur brevi, e soprattutto nella musica che come molto spesso accade in Skins assume anch’essa un ruolo da co-protagonista. Un altro contenuto, altrettanto significativo, e infondo collegato al precedente, si affianca a quello di purezza e vuole raccontare la solitudine, voluta e subita, di Cassie. Le telefonate col padre e con il fratello più piccolo, il viaggio in Galles dai suoi, diventano momenti significativi proprio perché cercano di spiegare questo senso di solitudine, e allo stesso tempo, fornirne la soluzione: la famiglia, almeno per il momento nella vita di Cassie, è l’unica rete relazionale che abbia un senso reale.

Ogni dubbio su una presunta fragilità di Cassie, però, deve essere fugato proprio guardando a quell’incorruttibilità, quella purezza, che le permette di compiere scelte importanti, con la decisione di chi sa esattamente a cosa dire di no e a cosa  dire di si. E così l’episodio ha modo di ricostruire un personaggio, quello di Cassie, che nella sua malinconia, è in grado di trasmettere un grande senso di serenità e forza.  Non è un caso, infatti, se Pure si chiude con una scelta importante della protagonista che prendendo con sè il fratellino compie un gesto di estrema volontà.

Scritto da Rossella Carpiniello.

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