È solo la fine del mondo: disintegrazione domestica
Dolan a confronto con la pièce di Lagarce, tra esplosività e intimismo
Con È solo la fine del mondo (vincitore del Grand Prix al Festival di Cannes 2016) Xavier Dolan adatta per il grande schermo l’omonima pièce di Jean-Luc Lagarce, da molti considerata un classico del teatro dell’ultimo Novecento.
Al centro dell’intreccio troviamo Louis (Gaspard Uliel), uno scrittore trentaquattrenne che fa ritorno nel nido familiare dopo dodici anni di assenza e di contatti pressoché nulli per annunciare la propria morte imminente. Ad accoglierlo, la madre (Nathalie Baye), il fratello Antoine (Vincent Cassel), la sorella Suzanne (Léa Seydoux) e la cognata Catherine (Marion Cotillard). Tutti, ognuno a proprio modo, tentano di stabilire una comunicazione con lui, ma presto il dialogo degenera in una rissa verbale che assume toni via via più accesi isolando sempre di più il protagonista. Al silenzio quasi assoluto del riservato e fragile Louis si contrappone così la crescente cacofonia nevrotica delle voci dei familiari, in un intrico di frustrazioni irrisolte, antichi rancori e bisticci infantili ai limiti del nonsense.
Come nel teatro di Beckett, la trama ristagna dunque nell’inazione (nulla accade realmente) e ad assumere un ruolo centrale è il linguaggio, un linguaggio che nell’alternanza di dialoghi serrati e lunghi monologhi perde gran parte della sua funzione comunicativa per farsi simile a una sinfonia musicale: ora si inceppa, ora si distende, ora torna su se stesso, ora esplode.
Dolan accentua l’isolamento dei suoi personaggi facendo largo uso di spietati primi piani e amplifica il senso di claustrofobia rendendo palpabile l’afa estiva (vediamo spesso il sudore sul volto del protagonista) e tormentando gli spettatori con le inquadrature ricorrenti di un beffardo orologio a cucù appeso a una parete. A volte si aprono però degli squarci: alcune toccanti, soavi sequenze al ralenti accompagnate dalle straripanti musiche sinfoniche di Gabriel Yared, che sembrano suggerire la possibilità di una comprensione profonda tra il protagonista e Catherine, e una serie di sfuocati flashback intermittenti che ci immergono nella materia liquida dei ricordi di Louis (spiccano, in particolare, quelli di un rapporto sessuale con il suo amore adolescenziale Pierre Joliquer).
Magistralmente interpretato da un cast d’eccezione, È solo la fine del mondo, sesto film di Dolan, è un’opera di tesa, feroce e viscerale bellezza a cui si perdonano alcune forzature, tra cui una scena finale allegorica che appare posticcia. Un’opera che si colloca su una linea di continuità con i precedenti lavori di Dolan per tematiche (la famiglia disfunzionale, l’incomunicabilità, l’omosessualità) e stile (l’inconfondibile estetica pop con il suo apparato di primi piani, ralenti, flashback, colori accesi e improbabili accostamenti musicali), ma che mette anche in luce un rigore, un equilibrio compositivo e una profondità di introspezione finora inediti per il regista canadese.
Thomas M. | Chiara C. | Edoardo P. | Eugenio D. | Giacomo B. | Giusy P. | Ilaria D. | ||
7½ | 7½ | 6 | 7 | 8 | 5 | 7 |
Regista: - Sceneggiatore:
Cast: