Sembra impossibile imbastire un discorso su The Danish Girl senza considerare i numerosi dibattiti legati alla rappresentazione mainstream della comunità transgender o alla tendenza che vede attori cisgender in ruoli trans come unico viatico per la distribuzione in sala. All’appello c’è chi denuncia una narrazione stereotipata e monocorde e chi invece vede di buon occhio storie più accessibili in grado di raggiungere un’audience estranea ai circuiti indipendenti. Tra le numerose variazioni sul tema, il confronto di The Walrus tra lo scrittore cis Jonathan Kay e la scrittrice trans Casey Plett è acutissimo nell’evidenziare i pro e i contro del film di Tom Hooper, focalizzando il dialogo sulla diversa percezione spettatoriale della protagonista, vero punto dolente del film.

Quasi tutto quello che sappiamo di Lili – il bankable Eddie Redmayne – è narrato attraverso gli occhi della moglie Gerda (Alicia Vikander), tanto da essere lei la Danish Girl premiata con l’Oscar. Niente di sorprendente se consideriamo il target di riferimento del film – il pubblico cisgender – più incline a immedesimarsi nello smarrimento di una moglie che in quello di una transgender. Un meccanismo narrativo che sposta il baricentro emotivo sui personaggi non LGBT e al quale sembra sottostare anche la sceneggiatura di Lucinda Coxon, dove la rappresentazione del personaggio transgender non va mai al di là del suo percorso di transizione e la consapevolezza di sé proviene esclusivamente dall’esterno. Quella che passa è un’immagine di Lili Elbe protomartire trans strumentalizzata attraverso iperboli melodrammatiche – in particolare lo scontro al parco – piazzate ad hoc per ottenere un’empatia spettatoriale che si sarebbe raggiunta anche attraverso una più onesta introspezione psicologica.

Tanto basta per incassare – 64 milioni al botteghino internazionale – e ricevere consensi dagli appassionati dei “morally uplifting movies” politicamente corretti. Allo stesso tempo rimangono gli interrogativi sull’efficacia di un’operazione nata con l’intento di approfondire la consapevolezza della realtà transessuale, ma che finisce con il fortificare gli stereotipi di genere. Un approccio stilistico che nell’era di Orange Is the New Black e Sense8 – entrambi con personaggi sfaccettati e interpreti transgender – e della consacrazione di Transparent – anch’esso epicentro di un vivace dialogo critico – si deve confrontare con rappresentazioni più coraggiose di “Woah, man…gender, right?”. Per i curiosi, The Danish Girl è disponibile in DVD e Blu-ray.

Giacomo B.Davide V.
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