The Final Girls: la recensione
Una commedia horror che ironizza sui meccanismi di genere
L’assassino in The Final Girls non è il maggiordomo e, per una volta, non è nemmeno il killer mascherato alla Jason o alla Leatherface. L’assassino è il film: dell’orrore, ci mancherebbe. Durante la prima dell’horror Camp Bloodbath, in fuga da un incendio divampato in sala, un gruppo di amici si ritrova sul set del film, senza via di scampo, con gli attori che credono di essere persone vere e la storia che si riavvolge in loop a piacimento di un’entità misteriosa. Tre problemi: come fuggire; come sopravvivere (specie considerando che si tratta di un horror); come una delle ragazze del gruppo (Taissa Farmiga) debba comportarsi con l’attrice protagonista, sua madre, morta tre anni prima in un incidente autostradale.
Non tutti gli horror che parlano di come funzioni un horror, cioè, gli horror metalinguistici, riescono col buco, ma ciò non vuol dire che The Final Girls sia un buco nell’acqua, anche a dispetto di precedenti ingombranti e relativamente attuali come Quella casa nel bosco. Si può piuttosto concludere che la scelta di tono – ergo, d’impegno – è inequivocabile: se il turbinio di scambi tra cornice, film nel film e decostruzione dello slasher è così acrobatico da riuscire di difficile descrizione, resta il fatto che l’opera di Todd Strauss-Schulson sia più spensierata che pensierosa. Per quanto l’idea di essere intrappolati in Camp Bloodbath sia angosciante, la strada scelta è quella di una horror comedy iperbolica, che sghignazza delle pacchianate della cultura cinematografica pop di genere.
Ecco, allora, il gruppo di Taissa Farmiga finire alle prese con i personaggi stereotipati del film nel film, nemmeno fosse American Pie piuttosto che una pellicola di paura: il fustacchione esuberante e chiassoso pronto a deflorare le pulzelle; la vergine a cui toccherà uccidere il villain (in gergo cinematografico, appunto, la “final girl”); le pluri-deflorate a rischio uccisione appena prima del rapporto sessuale (come da bignami di sceneggiatura di horror low budget); il mostro che nasce dalla storia di un innocente traumatizzato pronto a diventare vendicatore. La paura non graffia, l’ironia è corrosiva, ma il dubbio è che a volte si cerchi di nascondere le pacchianate di The Final Girls scambiandole per… riflessioni e prese in giro di pacchianate altrui.
Perché, allora, perdonare a The Final Girls di non essere né spaventoso né, in fin dei conti, così intelligente come sembra voglia apparire? Per il fatto, intanto, di essere abbastanza gradevole (con tutte le gradazioni dell’ “abbastanza” che ogni singolo spettatore vorrà assegnare), ma soprattutto perché il meccanismo del film-assassino genera una serie di varianti e possibilità che consentono quantomeno un’esecuzione brillante: si vedano, ad esempio, l’autotrasporto nel flashback per fuggire dal cattivo e il reboot delle scene.
Incrociando Scream e Pleasantville, dunque, The Final Girls trasforma il riciclaticcio in novanta minuti d’intrattenimento: anche se novanta non fa la paura.
Antonio M. | ||
6 1/2 |