Straordinaria riflessione sulla solitudine, Stray Dogs aggiunge all’opera di Tsai Ming-liang un ulteriore sguardo sull’impossibilità dell’amore, sull’incapacità di legare lo spirito al corpo. Privo di una narrazione lineare, Stray Dogs avanza, come gran parte del cinema di Tsai, per evocazioni.

Un uomo con due bambini viene abbandonato da una donna (la donna se n’è andata? è morta? è scomparsa?). Trova una seconda donna che si prende cura dei bimbi, così come si prende cura di un branco di cani randagi. Ma il suo affetto verso i due piccoli diventa esclusivo e al tempo stesso la presenza dell’uomo una minaccia. Una terza donna fa la sua comparsa. La situazione familiare appare più equilibrata, la povertà di mezzi e la miseria umana più sopportabile. Ancora una volta, invece, l’armonia creata dall’unione di due persone sembra doversi disgregare. Le tre donne sono un unico spirito femminino, in un certo senso sono la stessa donna in tre situazioni diverse. E l’uomo sembra dover soccombere allo scorrere del tempo così come al logoramento dell’amore. Impossibile stare assieme, inconcepibile stare da soli.

Due le immagini che fungono da polarità contrapposte. Nella prima, l’uomo arriva a casa e trova i bambini già addormentati. I due hanno preso un cavolo, disegnato due occhi e una bocca e lo hanno posto nel letto con loro, quasi fosse la madre, della quale trattenere ancora un po’ la presenza. Il padre vede la scena, prende il cavolo, e con disperazione inizia prima a baciarlo e infine a divorarlo, tra le lacrime, tale è il dolore per la separazione, tanto è forte il morso della mancanza.

Nella seconda, la donna (l’ultima delle tre nella sembianza carnale) si ritrova davanti a un muro che sta crollando, in mezzo ai ruderi, lo stesso luogo dove la seconda donna portava il cibo ai cani randagi. Ma la casa è la stessa dove vive l’uomo con i bambini. Una dimora invecchia. I muri invecchiano e si sgretolano. Così l’amore. La donna guarda il muro e piange, quasi fosse uno specchio della sua esistenza. Dietro di lei l’uomo, a qualche passo di distanza la guarda, in silenzio. Beve del liquore da una boccetta. La sequenza è molto lunga, dilatata, sta a indicare l’intera vita. Alla fine l’uomo si avvicina alla donna e l’abbraccia con infinita dolcezza. La stretta tra i due è breve. La donna si stacca e se ne va. L’uomo rimane ancora qualche istante di fronte al muro in procinto di crollare e, infine, esce di scena.

Come nell’esistenza di ognuno, così nel cinema di Tsai Ming-liang, le due polarità sono inconciliabili, eppure solo nella loro tensione la vita sembra compiersi.

Scritto da Gloria Zerbinati.

Gloria Z.Eugenio D.Sara S.
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