Storie pazzesche: la recensione
Presentato, in concorso, all’ultimo Festival di Cannes, Storie pazzesche dell’argentino Damian Szìfron esce sotto l’egida di Pedro Almodovar, il cui ruolo di produttore è stato particolarmente sottolineato dal marketing dell’edizione italiana, tanto da fa pensare a molti di trovarsi di fronte all’ultima fatica del regista spagnolo.
Sorvolando sugli equivoci e sulle tattiche pubblicitarie, Storie Pazzesche è diviso in cinque episodi, che, rifacendosi allo schema e al tono acre dei film ad episodi della commedia all’italiana, intendono essere un ironico e grottesco viaggio nelle derive dei comportamenti umani messi alla prova da situazioni sconvolgenti, inaspettate e sorprendenti. Situazioni che tirano fuori il peggio e sfociano nel dramma, sempre affrontato con le armi del sorriso sardonico. C’è la furia vendicatrice di una sposa che scopre, durante il suo matrimonio, di essere stata tradita dal neomarito, la follia isterica di un uomo vessato quotidianamente da burocrazia e affini; lo scontro tra due guidatori in un’abbandonata strada di campagna scatenato da un sorpasso condito da insulti, il tentativo di salvare un ricco rampollo con un incidente sulla coscienza e la rabbia che ribolle in una cameriera che riconosce lo strozzino che aveva distrutto la sua famiglia. Tutto anticipato da un prologo in cui un uomo porta allo schianto l’aereo in cui ha raggruppato tutti coloro che nella vita lo hanno umiliato.
Il film ha ben chiari i suoi obiettivi, e con la stessa chiarezza li trasmette allo spettatore: essere un cinico e arguto compendio di meschinità umane e del lato oscuro di ognuno pronto a scatenarsi se avversità richiede, e di regalare sorrisi imbarazzati. L’episodio in cui tutto questo riesce meglio è quello del buon uomo portato all’esasperazione dalla burocrazia e dagli intoppi della quotidianità, l’unico segmento davvero memorabile, oltre che quello con il personaggio più sfaccettato (anche grazie all’ottima prova di Ricardo Darìn) e quello con più agganci alla realtà contemporanea (i tweet e i dibattiti on-line nel finale). Gli altri, alcuni più felici (l’episodio del matrimonio e del giovane rampollo) altri meno (l’osteria e i due guidatori), sono sì gradevoli ed efficaci nel dipingere di nero la realtà di ogni giorno, ma allo stesso tempo sono caratterizzati da uno strato di freddezza e di distacco che rende Storie pazzesche un film più interessante per l’idea alla base (comunque, già di per sé non particolarmente rivoluzionaria nella storia delle commedie nere) che realmente “bello”. Un po’ come se si leggesse con distacco un referto clinico piuttosto che vedere un film.
Edoardo P. | ||
6 1/2 |
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