Come ricordare Lou Reed? Con quali parole? Quali canzoni? Quali anni? Di certo quelli dal 1967 al 1975, ovvero quelli che hanno segnato maggiormente e definitivamente la Storia del “rock” – si passi e perdoni il termine generico in modo quasi agghiacciante, ma, trattandosi di Reed, bisognerebbe altrimenti affrontare anche una Storia dei generi musicali da lui affrontati, ribaltati, rinnovati; e si pensi in merito, per esempio, all’utilizzo della cosiddetta Ostrich Guitar, termine letteralmente inventato dal musicista ai tempi della sua prima band (i Primitives), per indicare un particolare utilizzo della chitarra elettrica, poi sfruttato nell’album d’esordio: The Velvet Underground & Nico, del 1967, appunto.

I due anni presi come termini segnano dunque l’uscita di due dischi fondamentali: il debutto, con i contributi di Andy Warhol – a cui si deve la copertina, con l’ormai ben nota e storica banana, più che lo spunto musicale – e dell’attrice e modella Nico, che affianca Reed come seconda (calda) voce; e l’uscita di Metal Machine Music, il quinto album solista dell’autore – uno dei primi esempi di album “rumoristici” della storia, un vero e proprio ribaltamento stilistico, dopo il commerciale Sally Can’t Dance dell’anno precedente.

In mezzo, una serie di capolavori, sia con i Velvet Underground (lasciati nel 1970, dopo quattro dischi, ognuno a modo suo degno di nota), sia nella carriera da solista, per la quale è d’obbligo ricordare (e riascoltare, sempre) soprattutto Transformer e Berlin, rispettivamente del 1972 e del 1973. Sono gli anni del successo anche di altri due artisti innovatori, da un lato speculari dall’altro vicini e complementari a Reed: David Bowie – che in quel periodo veste gli abiti di Ziggy Stardust e contribuisce a diffondere la moda del glam rock – e Iggy Pop, al tempo ancora negli Stooges, precursori del punk, che esploderà solo nel 1976. E proprio questi anni sono segnati da nevrosi, esaurimenti nervosi, tossicodipendenza (l’eroina era già “compagna di vita” di Reed ai tempi dei VU), violente esibizioni live.

Dopo alcuni album non particolarmente riusciti negli anni Ottanta (Mistrial del 1986 è forse la punta più bassa della sua intera produzione, mentre è ammirevole il precedente The Blue Mask del 1982), gli anni Novanta si aprono con una collaborazione – Songs for Drella – con John Cale, cofondatore dei Velvet Underground, ma sono poi segnati solo da un paio di dischi meno singolari. Di certo, per quanto riguarda la produzione del nuovo millennio, è bene ricordare The Raven (2003) – il concept album ispirato ad alcuni racconti e poesie di Edgar Allan Poe – e dimenticare Lulu (2011), la collaborazione con i Metallica, difficile da digerire – forse più per presa di posizione ideologica che per altro – per i fan sia dell’uno sia degli altri.

Lou Reed si è spento il 27 ottobre – il suo giorno perfetto per morire – a 71 anni, dopo un trapianto di fegato subito nel maggio del 2012 e diversi ricoveri. Toccanti sono i ricordi apparsi on line dei suoi amici più intimi e cari – da Cale a Bowie alla batterista dei VU Maureen Tucker. Noi possiamo solo dire che la sua voce, a tratti tipicamente inespressiva, a volte volutamente stonata, comunque malinconica e decadente, ci accompagnerà sempre.

Scritto da Luca Pasquale.

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