Lo scorso venerdì è scomparsa, nelle stanze di una clinica romana, una delle più conosciute e rappresentative attrici italiane degli ultimi quaranta anni: la milanese Mariangela Melato, nata il 19 settembre 1941 e da tempo malata.

La Mariangela – l’articolo determinativo davanti al nome è doveroso per omaggiare la sua milanesità più volte portata sul grande schermo – è stata una delle ultime attrici italiane, prima che sul nostro cinema cadesse il decennio fatale degli anni Ottanta, veramente di personalità, carismatica e capace di bucare lo schermo e di essere davvero un ‘personaggio’; una delle ultime davvero grandi, anche se il suo nome e la sua attività sono sempre state legate, più che al cinema, al teatro, il suo principale lavoro e la sua grande passione: negli anni Sessanta, infatti, nella cornice del brillante ambiente culturale e teatrale meneghino, muove i primi passi lavorando, per esempio, per Dario Fo e per Luchino Visconti. La consacrazione arriva nel 1968, quando viene scelta da Luca Ronconi per il ruolo di Olimpia ne L’Orlando furioso, non solo opera spartiacque per il teatro italiano, ma anche opera che lancia definitivamente  la Melato e le apre le porte del cinema.

Esordisce sul grande schermo in Basta guardarla di Luciano Salce, commedia del 1969, e nei primi anni lavora, per esempio, con  Luigi Zampa (Contestazione generale), Nino Manfredi (Per grazia ricevuta), Elio Petri (La classe operaia va in paradiso), Vittorio De Sica (Lo chiameremo Andrea), Steno (La polizia ringrazia); decisivo è, nel 1972, Mimì metallurgico ferito nell’onore, che segna l’inizio del sodalizio con Lina Wertmuller (gireranno insieme quattro film) e soprattutto della coppia con Giancarlo Giannini. I due, grandi amici nella vita, in realtà reciteranno insieme poche volte, ma i loro battibecchi, i loro scontri e i loro amori rimarranno indelebili nella storia del cinema italiano e della sua percezione più diffusa, soprattutto grazie al successo internazionale di Travolti da un insolito destino nel mare d’agosto: la ricca, viziata e snob signora dell’alta borghesia milanese, costretta dopo il naufragio a sottomettersi al proletario cameriere, è per molti la sua interpretazione più celebre, e per alcuni anche la più riuscita.

Affermata anche nel cinema, gli anni Settanta la vedono sempre più in ruoli da protagonista, particolarmente in commedie, fossero essere riconducibili (Il Gatto di Luigi Comencini) o meno (Saxophone, dimenticato ma interessante esordio alla regia di Renato Pozzetto, e La poliziotta di Steno) alla tradizione della commedia all’italiana, che in quel decennio diventava sempre più amara, acre e grottesca; inoltre, citando almeno le interpretazioni più celebri, lavora anche per l’incursione nell’intimismo drammatico di Mario Monicelli Caro Michele, per il funereo grottesco politico Todo Modo di Elio Petri, per il corale Casotto di Sergio Citti e per il dissacrante Pap’Occhio di Renzo Arbore, suo compagno anche nella vita. L’eclettismo coltivato sui palcoscenici le permette di passare agevolmente da generi e stili recitativi differenti (conosciuta perlopiù per i ruoli grotteschi e un po’ caricati, ha regalato anche ottime interpretazioni misurate e drammatiche, per esempio per Giuseppe Bertolucci o per Pupi Avati), e di farsi conoscere anche oltre i confini: la sua ‘trasferta’ oltreoceano più celebre è quella per il kolossal del 1980 di Mike Hodges Flash Gordon. Tra il 1972 e il 1983, l’attrice collezione cinque Nastri d’Argento e quattro David di Donatello.

A partire dalla metà degli anni Ottanta, le sue apparizioni sul grande schermo si diradano sempre più, non ultimo perché, parallelamente all’involuzione del nostro cinema,  i ruoli proposti diventano sempre più ripetitivi e stereotipati, elementi che di conseguenza caratterizzano anche le sue interpretazioni; questa tendenza continua anche nel decennio successivo, quando piuttosto che sul grande schermo (Panni sporchi di Monicelli, Un uomo perbene di Maurizio Zaccaro sul caso Tortora), lavora in fiction e film per la tv.

Questo, naturalmente, senza mai abbandonare l’amore della vita: il teatro, passando con naturalezza e stile dai grandi classici alle commedie brillanti, dalla prosa al musical, da Eschilo e Shakespeare al recital. I palcoscenici calpestati, il diretto contatto con la platea, il calore degli applausi  e le rose trovate in camerino terminata la serata sono stati i compagni al suo fianco fino al tramonto della carriera, fino a pochi mesi prima di morire.

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