Still Life: la recensione
Per la sua opera seconda, Still Life, Uberto Pasolini – già produttore indipendente che lavorò anche a Full Monty e regista di Machan – La vera storia di una falsa squadra – si serve di una regia impeccabile, che si accorda alla pulizia dei gesti e dei movimenti dell’altrettanto impeccabile Eddie Marsan nei panni di John May, funzionario inglese che si occupa dei deceduti in solitudine. Il lavoro di John consiste nel rintracciarne l’identità, contattare le famiglie, assicurare loro una sepoltura, presenziare ai funerali nei numerosi casi in cui nessuno si fa avanti a reclamare la salma.
Il contesto, meteorologicamente grigio di quel grigiore tipicamente britannico, è anche ben poco allegro, eppure John si applica al proprio lavoro con meticolosità affettuosa, autonominatosi custode dei resti di vita terrena di esseri umani lasciati a se stessi fino alla morte. Tra tutti i casi che si prende a cuore, John rimane particolarmente colpito dal decesso di un uomo che viveva nel suo stesso complesso residenziale, in un appartamento fin troppo simile al suo. Indugiando nella casa dell’uomo, carpendo dettagli così simili a quelli di tanti altri appartamenti, e contemporaneamente scovandone le particolarità, John si ritrova a cercare a ritroso nell’esistenza di Billy Stoke, e a trovarci una vita contraddittoria, singolare, complicata e storta, eppure così piena da poterci ricavare ricordi, pensieri, e, per una volta, persone.
Nella recitazione trattenuta di Eddie Marsan risiede l’eco dell’incontro tra le caratteristiche personali del personaggio, la precisione, l’ordine, la ripetitività di gesti e abitudini, e quella del mestiere, il rigore, l’attenzione ai dettagli. In entrambi i casi, peculiarità che si adattano difficilmente all’andamento di una ordinaria vita sociale: lo sguardo di John May ci dice di un’umanità che trascende la comunicazione e la comprensione comunemente intese, per volgersi a leggere le tracce di ciò che lasciamo sulla terra, e a donare loro un significato. La regia di Pasolini, meritatamente premiata nella sezione Orizzonti all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, acuisce certi significati e certe interpretazioni, e ne suggerisce altri soffermandosi su dettagli e corrispondenze tra gli ambienti e le abitudini dei personaggi (i protagonisti e quelli secondari: si veda la posizione di mobili e oggetti nei vari appartamenti, la scatoletta di tonno, la poltrona di Billy e quella della figlia Kelly), tutti differenti tra loro, tutti, chi per scelta, chi per caso, diversamente isolati. Accanto a Eddie Marsan l’altrettanto brava Joanne Froggatt di Downton Abbey, per questo film sussurrato, ma limpidissimo e consapevole, con un finale tanto spiazzante quanto toccante.
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Barbara N. | Davide V. | Edoardo P. | Giusy P. | ||
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