Bling Ring: la recensione
Un leggero e affascinante ritratto delle nuove generazioni americane
Arriva nelle sale italiane Bling Ring, l’ultimo film di Sofia Coppola. Presentato a Cannes 2013, nella sezione “Un certain regard”, segna, a tre anni dal contestato Leone d’oro con Somewhere, il ritorno dietro la macchina da presa della figlia del grande Francis Ford. Determinata a dimostrare che il proprio valore non dipende solo dal cognome altisonante, né tantomeno dalla presenza di un “amico” in giuria, la Coppola si riscatta raccontando la storia (vera) del gruppo di adolescenti, soprannominati dai media la banda del Bling Ring, che nel 2009 svaligiarono le case di numerosi vip di Hollywood.
Non aspettatevi ragazzacci ispanici, passamontagna e grilletti facili; i ladri sono ricchi teenager della upper class californiana ossessionati dal desiderio di assomigliare il più possibile ai propri idoli. Spinti da questa irrefrenabile necessità, Rebeca (Kaite Chan), Marc (Israel Broussard), Nicki (Emma Watson), Sam (Taissa Farmiga), e Chloe (Claire Alys Julien) decidono tra un milkshake e una soda di introdursi nelle case di star come Paris Hilton, Orlando Bloom e Lindsay Lohan. Un’occhiata su twitter agli impegni del malcapitato di turno, una rapida ricerca su Google per scoprire l’indirizzo e poi… basta cercare la chiave sotto lo zerbino per entrare in paradisi colmi di oggetti griffati e feticci fashion.
Finchè dura il gioco è bello, ma presto diventa una routine irrefrenabile, che spinge questi giovani “drogati di celebrità” in una spirale di frivolezza e voyeurismo. Così anche la struttura del film inizialmente piace per la coerenza con cui rappresenta la quotidianità vuota delle nuove generazioni di yankees, ma dopo la metà, quando le sequenze cominciano a susseguirsi identiche, sembra girare a vuoto proprio come i personaggi nello schermo. Per smorzare questa ripetitività, la regista si allontana dalla linea lirica e romantica de Il giardino delle vergini suicide e Lost in Translation, cercando con la colonna sonora (anche in questa, come nelle altre sue pellicole, molto bella) di imprimere alla narrazione un andamento convulso e un ritmo concitato attorno a cui gravita tutta la grammatica di Bling Ring, dallo stile di ripresa alle scelte di montaggio.
Il rischio, in alcuni passaggi, è quello di assomigliare più a un videoclip che alla rappresentazione dell’eterna dualità shakespeariana cui velatamente la pellicola tende. Ma forse è proprio questo il punto. La generazione ostentatamente trasgressiva e senza principi che Bling Ring, come già Spring Breakers, tratteggia, dinanzi allo storico dilemma tra l’essere e l’avere sembra non voler scegliere, ma pretenderli entrambi.
Questa sottile deduzione è forse il merito più grande che si può attribuire a un film apparentemente superficiale, rispetto a precedenti lavori molto più personali della regista, ma che, in definitiva, affascina.
Scritto da Micol Lorenzato.
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Alice C. | Antonio M. | Chiara C. | Edoardo P. | Giacomo B. | Thomas M. | ||
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