Re della terra selvaggia: la recensione
Attendendo l’ormai imminente cerimonia degli Oscar in programma il 24 febbraio, quando Re della terra selvaggia – la principale sorpresa della serata – lotterà per quattro statuette (miglior film, regia, sceneggiatura non originale e miglior attrice protagonista con Quvenzhané Wallis), l’esordiente regista Behn Zeitlin può già essere orgoglioso e ritenersi soddisfatto osservando lo scaffale dei numerosi premi vinti dal film negli ultimi mesi: a partire dalla ‘Camera d’Or’ vinta a Cannes arrivando al Gran Premio della giuria al Sundance, passando per una ventina di altri riconoscimenti conquistati in festival e manifestazioni sparse per il mondo.
Un film quindi molto atteso, perlomeno dalla comunità cinefila, il cui appeal è aumentato dopo il successo avuto appunto con le nomination all’Oscar e che si aspetta soprattutto per la prova della giovane esordiente Quvenzhané Wallis, all’anagrafe nove anni e già entrata nel guinnes dei primati come la più giovane attrice ad ottenere una nomination. La piccola Wallis interpreta la protagonista assoluta del film: Hushpuppy, parte di una piccola comunità della Louisiana che vive con regole ai limiti della civiltà convenzionale e al di fuori della modernità, in una zona paludosa (‘la vasca’) a continuo rischio uragani e inondazioni. La vita scorre a stretto contatto con l’ostica natura della palude e secondo le necessità da essa imposte, ma gli abitanti sono orgogliosi e felici della loro diversità, in un luogo in cui <<ogni giorno è vacanza>>. Questo fino all’arrivo di un letale uragano, che inonda le baracche e costringe i pochi rimasti ad un’esistenza da un lato ancor più d’emergenza, dall’altro ancor più comunitaria. Molto stretto è il rapporto tra la piccola e il rude ma affettuoso padre, malato e in fin di vita, il quale le insegna sia ad amare ‘la vasca’ sia a sopravvivere in quel luogo ostico, anche in vista della sua scomparsa. Hushpuppy, felicemente alle prese con una realtà dura che ha imparato ad amare e a cui non potrà rinunciare, rilegge ciò che la circonda con la fantasia tipica dell’infanzia: in questo modo sublima il ricordo della madre (forse mai conosciuta), legge l’uragano che distrugge la comunità come la liberazione di ancestrali creature mostruose nemiche dell’umanità (a cui si riferisce il titolo originale Beasts of the southern wild) e affronta la malattia del padre.
Durante l’intera narrazione ci accompagna il punto di vista della bambina, un po’ pedinata con la tremolante camera a mano e un po’ attraverso soggettive e finto-soggettive: non solo e tanto quello che vede, quanto piuttosto quello che immagina e il mescolamento tra questo e la realtà, come quando compaiono le furenti e minacciose creature (che vagamente ricordano un altro piccolo gioiello dedicato alla fantasia dell’infanzia, Il paese delle creature selvagge), la cui corsa è accompagnata dai pensieri della bimba. Il film può essere letto da punti di vista differenti: da un lato come iper-realista documento etnografico all’insegna dell’esaltazione della diversità, dall’altro come omaggio supportato dal realismo magico alla fantasia di una bimba capace di rileggere una realtà unica e difficile per quanto affascinante, poi come storia del rapporto tra lei e il padre e soprattutto come romanzo di formazione e passaggio alla vita adulta, chiave di lettura che comprende anche le altre interpretazioni. Passaggio che avviene quando le minacciose paure create dalla fantasia docilmente si inchinano e riconoscono l’autorità e l’immunità di Hushpuppy in quella che è la scena più bella e significativa.
Momenti e sequenze di realismo e di cinema stile ‘Sundance‘ si alternano ad altri onirici e poetici. Se le parti più naturaliste sfiorano, cadendoci e per fortuna rialzandosi subito, una certa ruffianeria tipica di alcuni ultimi prodotti stile Sundance, di grande impatto emotivo e poetico risultano le parti più immaginarie e quelle in cui maggiormente si insiste sull’interiorità e le sensazioni della protagonista. Per quanto un po’ altalenante, qua e là furbetto e qua e là al contrario sincero, e pur essendo solo a bellissimi squarci la perla che dicono, l’esordio alla regia di Behn Zeitlin si può dire promettente e commovente, anche se buona parte del merito va alla giovanissima protagonista.
Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.
Chiara C. | ||
7 |