Little Sister: la recensione
Con la storia di quattro sorelle che vivono da sole, Koreeda firma un nuovo ritratto intimo e familiare
Presentato in concorso a Cannes nel 2015, Little Sister (Umimachi Diary, lett. “Diario di una città di mare”), si inserisce nel filone dei film intimisti e familiari che sta in parte caratterizzando gli ultimi lavori di Koreeda Hirokazu, da Still Walking fino al recente Like Father, Like Son.
Libero adattamento dell’omonimo manga di Yoshida Akimi, Little Sister narra la storia di tre sorelle che vivono da sole in una grande casa tradizionale a Kamakura, fuori da centri urbani trafficati. Alla notizia della morte del padre, le tre si recano al funerale dove decidono di “adottare” la sorellastra adolescente (Hirose Suzu, miglior attrice emergente per la rivista Kinema Junpo), rimasta anche lei senza genitori. Segue la progressiva integrazione della ragazza nel nuovo contesto e l’emergere di questioni familiari irrisolte.
Prediligendo il racconto della piccole cose a quello dei grandi eventi, Koreeda sembra voler ricercare una nuova classicità, un cinema post-Ozu fatto della stessa calma apparente e della stessa liricità, puntando alla rifondazione di quel nucleo familiare andato in pezzi nel cinema del compianto maestro oltre mezzo secolo fa. La nuova famiglia di Koreeda non si basa più (solo) sui legami di sangue, ma sulle affinità individuali di persone che scelgono di stare insieme. In questo contesto l’assenza dei genitori si fa sentire e provoca traumi, come avveniva, ancora più drammaticamente, in Nobody Knows. Inoltre, il fatto che da questo nuovo nucleo siano escluse le figure maschili (e quindi patriarcali) è sintomatico del progressivo cambiamento della società giapponese contemporanea.
Un elemento distingue però chiaramente Little Sister da opere simili dell’autore, un elemento che è allo stesso tempo la forza e la maggior debolezza del film. La vita delle quattro sorelle viene infatti ritratta sullo schermo senza veri conflitti e i pochi che emergono sono risolti con leggerezza in breve tempo. L’assenza di conflittualità potrebbe apparire come una facile concessione al pubblico che permette di raccontare un mondo utopico e fuori dal tempo, di cui è simbolo la grande casa tradizionale in mezzo al verde. La creazione di questo eterno presente si riflette anche in una concezione tradizionale della famiglia, la quale, nonostante abbia cambiato forma, rimane comunque il porto sicuro al quale tornare (o il vincolo dal quale è impossibile liberarsi), come dimostra la scelta finale della sorella maggiore (una trattenuta Ayase Haruka, che da idol televisiva è diventata attrice rispettabilissima).
Il tocco lieve del regista dona però a Little Sister una delicatezza e una tenerezza scevra di sentimentalismi davvero peculiare e toccante. I quadretti naturalistici che compone Koreeda riprendendo le quattro sorelle sprigionano una vitalità preziosa che tocca l’apice nelle piccole epifanie di cui sono protagoniste le ragazze (come la scena in bicicletta sotto i ciliegi). E allora lo spettatore si fa cullare dallo stile armonioso di Koreeda, iniziando a fantasticare di un altro mondo che ora vogliamo credere possibile.
Eugenio D. | Michele B. | ||
7 1/2 | 8 |
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