La commedia indie americana è un genere, quello definito “da Sundance Festival”: personaggi sbalestrati, in cerca d’identità, spesso squattrinati, che affrontano crisi nei legami familiari, di amicizia, di coppia. Nel sottogenere “ambientati a New York” troviamo i film di Noah Baumbach. Hanno un tono da Woody Allen hipster, una mediazione tra intellettualismo, vezzi giovanili e amarezza nella Grande Mela, sempre permeati di malinconia ma anche di umorismo.

Mistress America, del 2015, arriva ora nostre sale. Come quella di Frances Ha, la sua sceneggiatura è scritta dal regista assieme alla compagna Greta Gerwig, attrice icona del mumblecore. Anche in Mistress America c’è un dramedy a New York e il confronto tra due donne, più o meno giovani. Questa volta c’è più commedia che dramma, e, se in Frances Ha il problema era l’allontanamento tra Frances e la migliore amica, qui si racconta invece la storia di un incontro. Mistress America è uno di quei rari film che parla della storia di un’amicizia femminile: se pensate che di female buddy comedies ce ne siano tante, sappiate che non è così – il web dà parecchi spunti per approfondire il tema.

In questo film, la protagonista è Lola Kirke, la Hailey di Mozart in the Jungle, nonché sorella di Jemima Kirke (Jessa di Girls). Non potremmo essere più a New York di così. Kirke interpreta (poco realisticamente) la diciottenne nerd Tracy: frequenta il primo anno al Barnard College e la sua aspirazione è di entrare nel club letterario dell’università. Quando incontra Gerwig nei panni della trentenne Brooke, s’innamora della sua catastrofica energia vitale; la frequenta per affetto, ma anche per accumulare materia da romanzo. La trama è tutta qua. Baumbach e Gerwig la declinano in una commedia di situazioni assurde, accompagnate dalla colonna sonora originale di Dean Wareham e Britta Phillips (ex membri della band Luna; Phillips era anche la voce di Jem nel cartone Jem e le Holograms).

Non è un caso che le musiche abbiano tutte un sapore anni ’80. Mistress America rimanda alla screwball comedy, ma soprattutto alle commedie di John Hughes, coming of age corali dove le stanze possono affollarsi di personaggi secondari, quei caratteristi stilizzati da pochi tratti della personalità e del fisico: avremo allora l’amica nevrotica, l’ex fidanzato ricco e grasso, la coppietta paranoica e via dicendo, fino a un vero e proprio ritrovo di intelligentissime donne incinte, che discutono di letteratura.

Un po’ di amarezza non manca mai. Il personaggio di Greta Gerwig è la supereroina Mistress America proprio perché incarna la forza vitale che fa turbinare il caos di cui lei stessa è vittima. Come Frances Ha, il film parla di fallimento in modo positivo, dei 30 anni come il momento in cui ci si deve staccare dai propri sogni, senza per questo essere infelici: Gerwig trova la pace quando impara ad accettarsi, insieme a tutta la realtà che si porta dietro.

Sara M.Davide V.
77