El Club: la recensione
Un film sul potere, sulla cecità e la violenza di chi lo esercita e sugli effetti deleteri verso chi lo subisce
Presentato alla Berlinale nel 2015, dove vinse l’Orso d’argento, El Club è il quinto lungometraggio del regista cileno Pablo Larraín. Racconta la storia di quattro preti e di una suora, individui dal passato oscuro che la Chiesa Cattolica ha deciso di nascondere e isolare tra le mura di una casa cilena in riva al mare, finché l’arrivo inatteso di un quinto prete non riporterà a galla le ombre del passato.
Film corale e senza un vero protagonista, El Club può contare sull’ottima prova di tutto il cast, composto per lo più da fedeli collaboratori di Larraìn quali Alfredo Castro, Antonia Zegres e Marcelo Alonso, che riescono a trasmettere efficacemente l’ambiguità dei loro personaggi. Illuminato da una luce fioca e debole, El Club ha un’immagine velata mai limpida, tanto che il villaggio in cui ha luogo la vicenda sembra costantemente avvolto da una lieve foschia. Le numerose inquadrature in controluce nascondono i lineamenti dei personaggi e ne accentuano l’immaterialità, come fossero dei fantasmi che vagano senza un’anima, senza un’emozione.
La sceneggiatura, cui partecipa anche il regista assieme a Guillermo Calderón e Daniel Villalobos, ruota attorno a un’idea molto originale, arricchita da dialoghi insoliti e non lineari, nei quali parole d’odio e di perdono escono dalla stessa bocca, pensieri di momentanea lucidità emergono da sentimenti di follia, riflettendo l’dea di cinema di Larraín che si fonda sulla lotta, anche politica, contro ogni forma di banalizzazione, di pericolosa semplificazione della società e dell’essere umano.
In questo senso è inutile e fuorviante cercare in El Club un personaggio completamente e esclusivamente positivo. Se si eccettua la figura di René Saavedra, protagonista di No e forse unico personaggio “buono” dell’intera filmografia di Larraín, per il resto il suo cinema è fatto di personaggi ambigui e imprevedibili nei quali realisticamente il male e il bene si alternano, si intrecciano, a volte persino si nascondono nello stesso gesto, nella stessa parola. Inutile quindi cercare conforto e comprensione nel cinema del regista cileno, il cui sguardo sin dagli esordi è volto a interrogare, creare dubbi, ribaltare gli stereotipi. Molti critici hanno parlato di El Club come di un film sulla colpa, sulla penitenza e sulla (im)possibilità di redenzione. Non crediamo che questo sia il tema centrale del film. El Club è, come tutte le opere precedenti del regista cileno, un film sul potere, sugli effetti deleteri verso chi lo subisce, sulla cecità e la violenza che può causare negli individui e nelle istituzioni che lo esercitano.
Michele B. | ||
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