Rifare Shakespeare a casa propria con amici attori e maestranze? Il nostro ha fatto anche questo. Nasce così Much Ado About Nothing, presentato a Toronto nel 2012, girato in bianco e nero da Joss Whedon nella sua casa di Santa Monica scelta e arredata dalla moglie, e interpretato dalla corte dei suoi attori ricorrenti, provenienti dai casting di Buffy e Angel, Dollhouse, Firefly e The Avengers. Superficialmente un’operazione autoreferenziale e fine a se stessa, che sembra voler appagare l’ego di mestieranti conosciuti per l’intrattenimento commerciale, ma come sempre succede in Whedon, sotto c’è molto di più.

Il testo originale è una delle commedie più note del Bardo e forse tra le più rappresentate anche grazie alla brevità e all’unità spaziale (la casa, per l’appunto). Ma è anche un testo immortale che racconta la “natura sociale” dell’amore, un sentimento che può essere dirottato e acceso da condizionamenti esterni. O almeno questo è quello che vuole raccontare anche Whedon. E così, nonostante una partenza lenta, verbosa e poco significativa (l’ambientazione contemporanea utilizzando i versi originali? Già fatto!) il rumore si trasforma lentamente in qualcos’altro di più significativo.

Ci pensa Nathan Fillion – il Capitano Mal di Firefly, ormai globalmente conosciuto come Castle – a gigioneggiare tra i versi di Shakespeare, alleggerendo il tono e svelando l’obbiettivo: il metacinema e la metafora. Usando le maschere della sua tv e lavorando per contrasto nella messa in scena (il visual che tradisce o demitizza il testo), Whedon mette in scena una stratificazione di significanti, componendo significati, soprattutto sessuali e comici, che altrimenti non emergerebbero. Ci divertiamo nel vedere il bravo dottore di Firefly, qui in versione ombrosa, mentre inguaia l’ossessivo scienziato di Dollhouse, qui in versione innamorata, mentre ci accorgiamo che Clark Gregg, nei panni di Leonato, resta sempre l’agente Coulson. Patinato, leggero, sicuramente autoindulgente, ma lentamente e inesorabilmente, Much Ado About Nothing accumula senso e significati. È il sesso che fa girare il mondo, l’istinto primordiale che ci eleva o ci degrada. Shakespeare lo aveva capito, ancora prima che la tv lo mercificasse e lo utilizzasse per vederci fumetti, action figures e diavolerie tecnologiche imponendoci… tanto rumore per nulla.

Scritto da Sara Sagrati.

Sara S
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