Reduci dal meritato successo di Cesare deve morire, i Fratelli Taviani scelgono di affrontare il Decameron di Giovanni Boccaccio; facendolo, sembrano cadere vittime di un certo timore reverenziale, o della troppa prudenza. Le 5 novelle scelte, infatti, vengono trattate in maniera onesta e impeccabile quanto fredda e didascalica, priva di guizzi, e che finisce anche per stemperare il furore narrativo del Boccaccio, soffocando sul nascere molti degli spunti che, sulla carta, potevano essere sfruttati.

Non un film da buttare via, ma che certamente lascia il sapore fastidioso di un’occasione un po’ sprecata (per quanto oggettivamente ardua). Amaro in bocca che aumenta se si pensa alle parti migliori dell’opera: non la trattazione delle singole novelle, ma l’introduzione e un paio di sequenze tra un racconto e l’altro che rappresentano i giovani protagonisti nella loro quotidianità del buen retiro scelto per sfuggire la peste. L’introduzione ambientata nella Firenze flagellata dalla pestilenza è, infatti, potente ed efficace nel rappresentare sia l’angoscia che la perdita d’umanità, mettendo in risalto comportamenti pietosi inevitabilmente isolati e contrastati dal contesto di paura, cinismo e disperazione. Introduzione che rende più esplicita – e non a caso l’approccio più personale dato dai registi coincide con la parte migliore del film – la vena macabra e la presenza costante quanto implicita della morte nell’opera di Boccaccio. Allo stesso modo, alcune scene di passaggio tra una novella e l’altra rappresentano l’animo combattuto e lacerato dei giovani novellieri, tra voglia di fuga e constatazione di una realtà della quale non si può far finta di nulla; particolarmente riuscita, da questo punto di vista, è la scena del riposo agitato sull’erba che anticipa il finale.

Il problema di fondo sembra essere quello, frequente, del modo di approcciarsi a un’opera letteraria di queste dimensioni: più si cerca di essere fedeli, più la rappresentazione risulta fredda e didascalica, “educativa” nel senso liceale del termine, ma anche più lontana dagli spiriti più profondi della data opera; al contrario, più si cerca di allargare le maglie del riferimento letterario, più facilmente si possono intercettare questi spunti più profondi e meno immediati.

Maraviglioso Boccaccio ha comunque dalla sua la costante e sommessa vena malinconica, esplicitata dalla scelta delle novelle, e soprattutto la bellezza dei paesaggi, naturali e artistici, della Toscana e dell’alto Lazio, splendidamente resi dalla fotografia di Simone Zampagni. Non sempre invece viene in aiuto dei fratelli la parata di noti attori italiani, perlopiù non al massimo della loro forma, con l’eccezione di Kim Rossi Stuart, Lello Arena e Kasia Smutniak.

Edoardo P.
6 1/2