The Repairman: la recensione
The Repairman è il primo lungometraggio di Paolo Mitton, regista italiano già tecnico degli effetti speciali per grandi produzioni come Troy e Harry Potter. Molto più piccola è la storia che Mitton ha scelto per firmare il suo esordio nel cinema lungo. The Repairman è la storia di Scanio, trentenne piemontese con alle spalle studi di ingegneria non terminati, inguaiato in un presente lavorativo precario che lo vede collaborare con una ditta locale in veste di riparatore di macchine da caffè. L’incontro con una giovane ragazza inglese cambierà la sua vita, forse solo in apparenza.
Scritto con tocco leggero e caratterizzato da dialoghi brillanti, The Repairman si contraddistingue per la verve ironica che ricorda a tratti il cinema di Virzì per la lucidità con cui mette in scena e reinterpreta gli stereotipi dell’italianità, con un tocco di comicità sociale, presente soprattutto nella prima parte, che fa pensare a Boris, al netto della comicità gergale romana che era marchio di fabbrica di quella serie TV, qui sostituita da un’ironia più distaccata e british.
The Repairman vanta interpretazioni molto convincenti a cominciare da quelle dei protagonisti, Daniele Savoca e Hannah Croft, supportati da un cast di contorno sempre azzeccato. Il film è ben costruito anche dal punto di vista estetico: è evidente la cura nella realizzazione degli ambienti e dei costumi, così come interessante è il lavoro sui colori e sulla fotografia. L’uso limitato degli effetti speciali, insolito per produzioni di questo tipo e favorito probabilmente dalle passate esperienze professionali del regista, si nota per esempio nel carrello laterale di inizio film, nel quale il regista segue il volo a mezz’aria di un uccello prima che quest’ultimo venga violentemente fermato da un cavo della corrente. Pur nell’evidente attenzione formale, il film ha il merito di non cadere in facili estetismi tipici di altre piccole produzioni europee recenti.
L’unico appunto che si può muovere a The Repairman non è certo di tipo tecnico, quanto piuttosto concettuale. Cambiando il punto di vista dell’analisi filmica e collocando questo film nella difficile situazione del cinema italiano di oggi, ci si accorge che The Repairman purtroppo soffre lo stesso limite di molto cinema italiano, di qualità, del recente passato. Un cinema che ha perso molto della sua impronta forte, caratteristica, dello stile coraggioso e spesso rivoluzionario che lo ha caratterizzato per decenni, un cinema che una volta era soprattutto molto più libero e vitale. Oggi il cinema italiano tenta spesso di assomigliare a quello di altre cinematografie europee: una volta accadeva il contrario. Si potrebbe argomentare che un film è sempre figlio della sua epoca e che, di conseguenza, è più che normale che il film di Mitton risulti un po’ depresso, proprio come il suo protagonista, proprio come il Paese in cui è ambientato. Nulla da dire al riguardo, a parte che, se è vero che i buoni film sono quelli che rappresentano bene l’epoca in cui sono stati realizzati, i grandi film sono invece quelli che sanno anticipare le epoche. Certo, The Repairman non ha ambizioni da grande film, e forse è proprio questo il problema, visto anche il talento innegabile che sottende questa promettente opera prima.
Michele B. | ||
6 1/2 |
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