Quale tragico equivoco pensare di poter ridurre alla logica del linguaggio, razionale e limitante, quel che solo i sensi e il corpo possono comprendere. Come raccontare un colore, il taglio della luce, la consistenza della carne, la bramosia del sesso? Tutte le domande che i poliziotti rivolgono al protagonista sono inadeguate perché non hanno risposta e qualsiasi timido tentativo di risposta sarà sempre parziale, vacuo, insensato. “Era vero. In quel momento tutto era vero, perché viveva ogni cosa così come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno ci sarebbe stato qualcosa da capire. E non solo tutto era vero ma era anche reale: lui, la camera, Andrée ancora distesa sul letto sfatto, nuda, con le gambe divaricate e la macchia scura del sesso da cui colava un filo di sperma. Era felice? Se glielo avessero chiesto, avrebbe risposto di sì senza esitare. Non gli passava neanche per la testa di avercela con Andrée perché gli aveva morso il labbro. Faceva parte dell’insieme, come tutto il resto” (Georges Simenon, La chambre bleue).

Nella prima, straordinaria, pagina del romanzo c’è già tutto: il sangue, lo sperma, la macchia scura del sesso. La violenza e la sensualità. L’origine du monde e la petite mort. L’inizio e la fine. Perché non accettare che sia il corpo a ridefinire i margini dell’esperienza? Perché rifugiarsi nell’ipocrisia della razionalità, cercando di incasellare ciò che, per sua natura, è irriducibile a qualsiasi tentativo di catalogazione?

Mentre la donna, angelo sterminatore del conformismo, rimane impassibile di fronte agli eventi che la travolgono e risoluta nei sentimenti che prova, l’uomo appare in stato di costante epifania: il corpo e i sensi diventano il filtro della realtà e ogni emozione ha un sapore, una consistenza, un riverbero. La splendida e dolorosa scena in cui è al mare con moglie e figlia ne è un esempio: non sono i gesti comuni compiuti in loro compagnia a turbarlo, ma la luce a ferirlo. Una luce stanca ma impietosa, antitetica alla penombra della camera azzurra, dove qualche raggio filtrava dalle persiane abbassate.

La chambre bleue è un magnifico film antiplatonico, in cui la rivelazione a cui assiste impotente il protagonista non ha nulla di metafisico, ma è carnale. Non c’è psicologia, non c’è riflessione, e non c’è nemmeno niente da capire né da indagare. Solo i sensi. Il sudore, gli umori, l’odore aspro. Mathieu Amalric mette in scena in maniera secca e crudele la sensualità, senza edulcorarla, privandola di qualsiasi artificiosità, mostrandone il rimosso, ciò che fa problema, e traendo, di conseguenza, un film politico. Manifesto dell’irriducibilità del corpo e dei sensi a qualsiasi ordine, della loro portata devastante, dell’impossibilità di normalizzarli e dunque ridurne l’ardore, La chambre bleue svela il punto di non ritorno al quale gli amanti giungono, rendendo inaccettabile qualsiasi forma depotenziata, ossia falsificata, di ciò che li lega, non lasciando scampo a nessuno.

Scritto da Gloria Zerbinati.

Gloria Z.
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