Striplife: la recensione
Presentato nel 2013 al Torino Film Festival, nella sezione TFFDOC/ITALIANA.DOC, Striplife è un documentario firmato dal collettivo italiano Teleimmagini e racconta la giornata di alcuni abitanti della città di Gaza.
Una presentatrice della TV di Gaza, un fotoreporter in sedia a rotelle vittima tempo prima di un bombardamento, un allenatore di calcio, un gruppo di giovani che praticano il parkour tra le macerie di Gaza: sono solo alcune delle figure umane immortalate in Striplife, un interessante documentario che si caratterizza per la scelta originale di raccontare uno scenario di guerra tenendo quest’ultima sempre sullo sfondo per soffermarsi piuttosto sulla quotidianità.
La guerra a Gaza diventa la colonna sonora della giornata, più che vederla si sente, si ascolta. Spari e bombardamenti riempiono l’aria di tanto in tanto: un contadino di Gaza si ferma, alza la testa un istante come per ascoltare l’arrivo di un temporale. Qualche secondo e poi torna a lavorare, come se niente fosse accaduto, una terra di confine che forse non ha domani.
In Striplife la musica e lo sport diventano le lenti d’ingrandimento per leggere una società molto complessa: un gruppo di giovani rapper si allena in riva al mare recitando versi ad altissima velocità anche se, come ricorda una didascalia, il genere rap non è ben visto da queste parti.
Anche il calcio diventa metafora formidabile per raccontare le conseguenze della guerra allorch é Jabber, ex calciatore della nazionale palestinese ritiratosi precocemente a causa del conflitto, torna nel campo in cui giocava da giovane. È impressionante l’inquadratura che lo vede di spalle osservare il terreno da gioco diventato ormai inutilizzabile perché coperto dai detriti.
Striplife risulta interessante anche dal punto di vista estetico grazie ad alcune sequenze di particolare potenza e suggestione come quella iniziale nella quale decine di mante che, arenate sulla spiaggia di Gaza e allineate dai pescatori sul bagnasciuga, assomigliano a corpi umani sdraiati coperti da teli bianchi. Altrettanto emozionante è una delle scene finali, quella in cui i ragazzi del parkour compiono capriole e salti mortali, salutano guardando verso la telecamera mentre sullo sfondo una grande nuvola di fumo si erge in cielo, forse causata dallo scoppio di una bomba: “Guardate, il fumo ha preso la forma di un cuore!” urla uno dei ragazzi. La sua fantasia ha trasformato per un attimo un simbolo di guerra in un simbolo di pace, prima che la realtà torni inesorabilmente a farsi largo per le strade di Gaza.
Michele B. | ||
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