La dialettica tra Natura e Metafora, tra Biologia e Cultura (o Storia), ha sempre caratterizzato il cinema di Jean-Luc Godard. In Notre musique viene spiegato cos’è il Reale e cos’è l’Immaginario attraverso un esempio. Due uomini si trovano a Elsinore di fronte a un castello. Il primo guarda il castello senza particolare emozione, ma quando il secondo gli dice che quello è il castello di Amleto, il suo sguardo cambia e così la sua percezione del luogo. “Elsinore: il Reale. Amleto: l’Immaginario. Campo e contro-campo”. Dunque, il modo per realizzare la dialettica nel cinema è l’uso del campo e del contro-campo. Ma come è possibile realizzare la dialettica nel momento in cui uno dei due poli, l’Immaginario, è collassato nel Reale (la Metafora nella Natura), poiché le sovrastrutture culturali che l’uomo si è creato non l’hanno preservato dalla sua riduzione a semplice essere biologico? La via d’uscita, per Godard, sta in una coppia, un uomo e una donna, e un cane.

La coppia è in un appartamento: parla, si confronta, ma questo ha poca importanza. C’è anche una seconda coppia, ce ne potrebbero essere migliaia, non cambierebbe nulla, poiché questa coppia è paradigmatica: la donna è il suo pube, l’origine du monde; lui espleta le proprio funzioni corporali, trovando una verità negli escrementi, ma fondamentalmente ponendosi in contrapposizione alla donna, benché, come lei ridotto alla sua stessa biologia. Da lei origina la vita, da lui viene evacuato ciò che la sostiene (il cibo). Come porre in una condizione dialettica i due, forti solo dei loro corpi, senza ricorrere alla Metafora? Attraverso il ribaltamento di una tecnica, il 3D, che con il suo iperrealismo è il linguaggio che più si confà alla presenza del solo Reale. Ma invece di potenziare l’immagine, aumentando la profondità, Godard rompe l’immagine e obbliga lo spettatore, che, munito di occhialini, si domanda se non ci sia qualche difetto di proiezione, a stringere le palpebre per mettere a fuoco, fino a capire che chiudendo un occhio, riaprendolo e chiudendo l’altro, l’immagine si vede perfettamente, ma quell’immagine è due e è un campo e contro-campo. Godard, partendo da una situazione in cui la dialettica è scomparsa, la ricrea partendo da due immagini naturali che si contrappongono nell’immagine. L’uno è diventato due. Dove c’era un annullamento, una fine, ora c’è un nuovo inizio, puro, vergine, primigenio, come lo sguardo del cane. Il cane, Roxy, è il cane di Godard, unico essere che ama più l’altro di se stesso, che guarda come noi non siamo più in grado di guardare, resi ciechi dalla nostra coscienza, che è nudo e non lo è (perché non sa di esserlo). Allora il cane diventa il paradigma di un nuovo sguardo e, magari, di una rinascita. Adieu au langage è un addio a un linguaggio ormai finito, che deve essere distrutto e abbandonato, ma anche un benvenuto a un nuovo linguaggio, dal momento che, come dice Godard, nel Canton Vaud, in Svizzera, dove lui vive, “Addio vuol dire anche buongiorno”.

Scritto da Gloria Zerbinati.

Gloria Z.
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