Girato per brevi periodi tra il 2002 e il 2013, Boyhood è un’esperienza cinematografica innovativa che copre 12 anni di vita all’interno di una famiglia. Al centro c’è Mason (Ellar Coltrane, scelto tramite audizione da piccolo), che con la sorella Samantha (Lorelai, figlia di Richard Linklater), vive un viaggio emozionale e trascendente dall’infanzia all’età adulta. Uno dei rari casi in cui sinossi e format coincidono: filmare la vita, mentre questa si svolge.

Da sempre il cinema brama di poter rappresentare il tempo, sia quello con la T maiuscola, filosofico, concettuale, narrativo, sia quello che passa, scorre e ci dona esperienza. Negli ultimi anni, sempre più spesso, autori e serie tv hanno preferito concentrarsi sul primo tema – si pensi ai paradossi temporali di Lost o anche all’ultimo Interstellar di Nolan – mentre Richard Linklater ha scelto di dedicarsi al killer silenzioso che ci fa crescere e scoprire il mondo: lo scorrere del tempo. Come François Truffaut ha mostrato la vita di Antine Doinel/Jean-Pierre Léaud, il documentario 7 UP di Michael Apted i cambiamenti di un gruppo di ragazzi inglesi dal 1984, la saga di Harry Potter il fiorire di Emma Watson, Boyhood è il primo esperimento di fiction che racconta la crescita di un ragazzino, anno dopo anno, fino alle soglie dell’età adulta. La storia è finzionale, ma la crescita è reale, ripresa per pochi giorni all’anno nel corso di una decade, in cui il protagonista Ellar Coltrane si è alzato di 68 cm e cambiato pettinatura per 72 volte. Un lavoro encomiabile, scritto ma libero, in cui il racconto è funzionale alle storie scolpite sui volti e i corpi dei personaggi: i cambiamenti fisici, più evidenti nei giovani protagonisti, sono fondamentali e ben visibili anche in Patricia Arquette ed Ethan Hawke. Quadri di vita familiare, collegati da ellissi temporali, capaci di mostrare l’accumulo di esperienza, ma senza doverlo spiegare. C’è un senso continuo di dramma imminente, creato dall’esperienza dello spettatore che vedrà in un incidente sfiorato un cattivo presagio per il futuro, ma che non si consuma mai, esattamente come avviene nella maggior pare delle vite vere.

Un vero miracolo, un format eseguito alla perfezione, ma allo stesso tempo sovrastante. Il come toglie luce al cosa, sacrificando il lato emotivo imbrigliato dalla sua realizzazione. Trattasi di peccato veniale, e ben risolto da un punto di vista spettatoriale (i 165 minuti filano come se fossero 90), ma è indubbio che il protagonista non sia il piccolo Mason che diventa adulto in una famiglia disfunzionale, ma il cambiamento dovuto all’esperienza di vita e al tempo che passa. Il coming of age definitivo che lascia il cinefilo a bocca aperta e lo spettatore a occhi asciutti. Anche quando cinefilo e spettatore coincidono.

Scritto da Sara Sagrati.

Sara S.Alice C.Antonio M.Chiara C.Edoardo P.Eugenio D.Michele B.Thomas M.
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