Quale miglior piazza di Venezia 71 per presentare la superba, sublime, zampata di un vecchio leone? The Humbling si regge tutto, tra realtà e finzione, sulle forti spalle di Al Pacino. La fiacca sceneggiatura si basa su una storia che ha il sapore del già visto e non riesce a dissipare tutte le ombre che oscurano l’anima di Simon Axler, un attore che, avendo perso la capacità di calcare le scene fulcro di tutta la sua esistenza, si dibatte alla ricerca di nuovi obiettivi per definire se stesso.

Spiega lo stesso Pacino: “E’ un uomo che si è tagliato fuori, che cerca un contatto umano e non lo trova. E’ incapace di smettere di pensare al passato, ma alla fine deve lasciarlo andare”. Così, in questo intreccio di melanconico dramma e di sfolgorante commedia, sbilanciato forse troppo verso la farsa, la domanda è proprio questa: chi è Simon e, forse, chi è l’attore Pacino, chi siamo noi tutti. “Il mio personaggio è un uomo che vede le opportunità mancate di una vita intera, e in questo tutti ci possiamo riconoscere”. E’ infatti ammissibile che molti, a un certo punto della vita, possano porsi la domanda più vecchia del mondo: chi siamo, o meglio, cosa ci definisce? Il lavoro? La famiglia? I successi? I fallimenti? In questa parte che sembra essergli stata cucita addosso – da grande attore di film entrati nella storia del cinema e amante del teatro e di Shakespeare, recentemente ha fatto scelte bizzarre, ed è difficile non rammentare il suo Riccardo III, uomo dal carattere fortemente istrionico, burbero, vanitoso – Pacino dipinge ogni singola sfumatura del suo personaggio, lo cesella e lo plasma talmente bene che è facile confonderli sulla scena, arrivando a pensare che egli stia recitando se stesso. Come pochi è in grado di entrare e uscire, con vertiginosa disinvoltura, grazie a un paio di sguardi, gesti o battute, dai vari stati emozionali, indossando entrambe le maschere del teatro greco che Simon bacia, non a caso, nel film. Riesce a far piangere lo spettatore sia perché commosso dall’intensità del Macbeth, sia per lo sbellicarsi dal suo gigioneggiare in scene a di poco esilaranti. E’puro stato di grazia. Talento e maestria.

Il resto del cast subisce questa sua debordante bravura, anche se la coprotagonista Greta Gerwig arpeggia con lui discretamente cercando di tenere il non facile passo. Anche la regia di Barry Levinson ne risente. Fatica all’inizio a tenere il ritmo, ma rapidamente si adegua nei tempi comici, velocizzandosi soprattutto nella seconda parte del film. Se Parigi val bene una messa, Al Pacino in The Humbling vale molto, ma molto di più, del prezzo di un biglietto.

Scritto da Vanessa Forte.

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Davide V.
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