Quando il cinema comico diventa saga, di solito si tende a puntare più sull’affetto dello spettatore verso i personaggi piuttosto che sulla ricerca di nuove soluzioni comiche o sul tentativo di mantenere alto e costante il livello di originalità. Si preferisce dunque accontentarsi e andare in un certo senso sull’usato sicuro, dato che il pubblico tende (e in un certo senso vuole, come se desiderasse rifugiarsi in un porto sicuro) a ridere comunque di gag e di situazioni che si aspetta, e pazienza se l’efficacia comica e ironica risultino sì presenti, ma sempre più pallide e sfocate. E‘ capitato in Italia, per esempio, con i Fantozzi, a partire dal terzo capitolo stanchi e ripetitivi (con l’eccezione di Fantozzi va in pensione), dove tra l’altro si è notato come la coazione a ripetere abbia anche influenzato le altre interpretazioni di Paolo Villaggio; lo stesso ragionamento si può fare per la saga dell’ispettore Clouseau, che dopo avere raggiunto lo zenit nel quarto episodio (La Pantera Rosa sfida l’ispettore Clouseau, 1976, grande caratterizzazione di Herbert Lom), ha iniziato gradualmente a ripetersi e ad autocitarsi. E’ un po’ come se la comicità di successo diventasse un brand: cosa di per sé normale e inevitabile – e non necessariamente causa di qualità più bassa – quando il cinema ottiene grande successo, ma che nel caso del comico presenta rischi decisamente più alti, che in altri generi e poetiche, di ripetitività e di perdita d’efficacia.

Non sfuggono a questa regola i baldi e sfortunati protagonisti de Una notte da leoni 3, diretto ancora una volta da Todd Philips e interpretato dallo stesso quartetto di attori (Bradley Cooper è Phil, Ed Helms è Stu, Zach Galifianakis è Alan, Justin Bartha è Doug). Intendiamoci, chi paga il biglietto ne esce comunque mediamente soddisfatto: il terzo capitolo garantisce un numero sufficiente di risate da essere considerato almeno gradevole, è sicuramente simpatico, e l’obiettivo minimo di divertire, almeno un po’, viene raggiunto.

Ciò detto, il critico e l’aspirante tale sono costretti a filtrare le risate fatte nel buio della sala con le considerazioni prima accennate e con la sensazione di ridere più per affetto verso i personaggi e le loro sorti che per le reali qualità e incisività delle singole gag (nonostante non manchi una manciata di situazioni buone e irresistibili); si ride per i rimandi espliciti alle disavventure dei due capitoli precedenti, resi nei dialoghi così come in certe soluzioni visive (per esempio, nel prefinale che riprende tutte le “entrate” in scena dei quattro) e per il mantenimento e la ripetizioni dei topoi caratteriali più noti e riconoscibili. Così, la vicenda scorre senza sorprese sia nella narrazione che nel tenore e nello stile dei momenti comici; questo, nonostante l’occasione dell’ennesima notte quasi apocalittica non sia più un addio al celibato finito un po’ troppo ai bagordi e il personaggio di Alan abbia assunto un ruolo più centrale, relegando un po’ sullo sfondo Phil e Stu e di conseguenza aumentando anche l’importanza del criminale psicotico Chow (Ken Jeong), in questo caso vero co-protagonista del film.

Una notte da leoni 3 appare quindi come un consapevole gioco di celebrazione dei personaggi – protagonisti di uno degli eventi di maggiore successo degli ultimi anni, e di cui non sono previsti ulteriori sequel – che altrettanto consapevolmente sembra avere fatto spallucce davanti al rischio di deja-vù e di ripetitività.

Se il primo Una notte da leoni rimane uno dei film comici puri più travolgenti, scatenati e divertenti dell’ultimo decennio, per la perfezione dei tempi comici e per il sagace utilizzo della volgarità che non diventa né fastidiosa né gratuita, e il secondo ha puntato sull’esagerazione di alcune caratteristiche del primo, in parte cogliendo nel segno ma peccando qua e là proprio nella gestione della volgarità e dell’eccesso, il terzo capitolo mostra qualche sfilacciamento nella corda, che non si è ancora spezzata, ma per la quale basterebbe un altro strattone perché si rompa irrimediabilmente.

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