Qualche volta nei film dove evidenti pregi convivono con altrettanto innegabili difetti, la forza dei primi riesce quasi ad annullare l’effetto dei secondi, arrivando anche a far sì che le zoppicature diventino giustificabili e strumentali al senso dell’opera: è un po’ il caso di Come un tuono, opera terza di Derek Cianfrance, autore del cult cinefilo Blue Valentine.

The Place beyond the Pines – questo l’evocativo titolo originale, la traduzione inglese del termine mohawk Schenectady, nome della città dove è stato girato e ambientato il film – sembra giocare con modelli alti, quelli della tragedia classica, mischiati con alcuni topoi e caratteri tipici della cultura americana (dalla moto e il senso di libertà, al singolo che lotta contro il contesto, alla rappresentazione di un certo tipo di mascolinità e della provincia profonda fino al richiamo della wilderness): a tirare le fila dell’opera, infatti, ci sono il fato intransigente e a cui non si può sfuggire, l’indelebilità della colpa e l’invisibile ma coriaceo filo attraverso il quale i rimpianti e le colpe dei padri ricadono sui figli. Queste tematiche si svolgono in uno script che cammina sul filo di rasoio dell’improbabilità e dell’inverosimiglianza, con scelte narrative che, se trattate in altro modo e in un altro contesto, avrebbero rischiato il ridicolo involontario. Sarebbe un peccato raccontare la trama, basti qui dire che protagonisti sono uno spiantato talento del motociclismo (interpretato dal come al solito magnetico Ryan Gosling) che si improvvisa rapinatore di banche per mantenere il figlio, e un giovane e ambizioso poliziotto che, per caso, incrocia il suo percorso (un Bradley Cooper che conferma il suo momento di crescita): le conseguenze del “rapporto” tra i due cadranno sui loro rispettivi figli, inconsapevoli e sulla pelle dei quali il “destino” scriverà la parola fine.

A tappare i buchi di sceneggiatura, interviene una potenza registica notevole, già evidente nel piano sequenza pedinante d’apertura, grazie alla quale è un po’ come se i dubbi che iniziano a farsi strada nella mente dello spettatore siano immediatamente spazzati via dalla pregnanza visiva e dalla forza di uno stile ruvido e potente, ancor più efficace che in Blue Valentine: basti vedere, per fare alcuni esempi, la scena del battesimo, le corse in moto dopo la rapina, la struggente scena del gelato e della fotografia e l’adrenalinico inseguimento, tutti pezzi di grande cinema. Il gioco funziona benissimo soprattutto nella prima parte, dove domina il personaggio di Ryan Gosling, mentre mostra un po’ la corda qua e là nella seconda dove è centrale il poliziotto interpretato da Bradley Cooper. Ciò non per demerito del protagonista de Il lato positivo, anzi molto intenso, ma piuttosto per una leggera virata tematica: infatti, poiché nella prima parte ci si concentra sulle motivazioni familiari, sui legami cercati e negati, mentre nella seconda l’ottica sembra spostarsi più su questioni di giustizia e di presa d’autocoscienza  e di auto-assoluzione,  il baricentro tematico del film risulta leggermente mutato e quindi anche certe scelte stilistiche, perfette per creare aderenza nella prima parte, risultano in qualche modo meno adeguate.  Fatto sta che tutto alla fine torna nell’epilogo dedicato ai figli, dove i nodi si sciolgono e la tragedia, ancora una volta, esplode risolvendosi una volta per tutte.

Due uomini che il fato mette di fronte a legami a cui non si vuole e non si può sfuggire, con il peso del fallimento e delle colpe che continua a presentare il conto e a condizionare rapporti, scelte e azioni. I due non sono e non possono essere totalmente liberi, perché in qualche modo, presto o tardi, è il destino a metterli davanti a strade obbligate. Non basta essere maghi delle due ruote, né cercare di redimersi e ritrovarsi denunciando il marcio laddove non dovrebbe esserci: non c’è sconto e non c’è assoluzione, e se sembra che tu non stia pagando direttamente, pagheranno i tuoi figli, nello schema classico per cui le colpe dei padri ricadranno su di loro, come in una regola di eredità di sangue impossibile da aggirare (Non dimentichiamo, inoltre, che la tematica della paternità e dell’inadeguatezza di un certo tipo di maschio americano nell’essere padre era già un elemento non secondario in Blue Valentine).

Tutto accade come se fosse preordinato, come se non potesse essere altrimenti: è in questa chiave di lettura che allora i passaggi improbabili e quelli non ben spiegati della sceneggiatura assumono senso, come se la loro inverosimiglianza e le loro forzature siano conseguenze inevitabili dell’agire del destino, per le quali spiegazioni e approfondimenti paiono inutili. Certo, forse un quarto d’ora in più avrebbe giovato nel rappresentare meglio un paio di passaggi, anche tenendo conto della chiave di lettura appena fatta, ma ciò non toglie che Come un tuono sia una potente rappresentazione di due uomini sconfitti in una partita che non hanno scelto loro di giocare, un film che cresce con il tempo facendoti dimenticare e “capire” i suoi difetti e che regala pezzi di assoluta maestria.

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Antonio M.Giacomo B.Giusy P.
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