In Viva la libertà, di Roberto Andò, Enrico Olivieri (Toni Servillo), segretario di un fantomatico Partito di Opposizione italiano (chiaramente ispirato al PD), dopo essere stato contestato pubblicamente, decide di fuggire dalla scena politica per rifugiarsi a Parigi. Qui viene ospitato da una sua vecchia amante, Danielle, ora sposata con un famoso regista asiatico di nome Mung (Eric Trung Nguyen) da cui ha avuto una figlia. Nella sede romana del partito cresce lo sgomento per l’assenza del segretario. È il suo assistente, Andrea Bottini (Valerio Mastandrea), ad avere l’intuizione risolutrice: sostituire segretamente Olivieri con il fratello gemello Giovanni Ernani (ancora Servillo), filosofo geniale che soffre tuttavia di disturbi della personalità dissociata e da poco è stato dimesso da una clinica psichiatrica.

Il filosofo, grazie al suo eloquio astratto, colto e immaginifico e a una divina sfrontatezza e leggerezza da fool shakespeariano – doti che lo allontanano dal grigiore burocratico che soffoca il partito e la scena politica – riesce prima a conquistare i suoi colleghi, all’oscuro della sostituzione, poi a riaccendere gli animi e le speranze degli elettori, riportando in alto i consensi del partito. Nel frattempo, a Parigi, Olivieri cerca di ricomporre la propria vita attraverso il proprio passato, riscoprendo l’antica passione per il cinema (lavora come operatore sul set accanto a Danielle). Riuscirà alla fine a ritrovare una nuova autenticità.

Come emerge dalla trama, Viva la libertà, trasposizione del romanzo Il trono vuoto dello stesso regista, è un’opera che fonde un genere molto tradizionale del cinema italiano come quello politico (e forte è il richiamo all’attualità) con temi esistenziali, che potremmo definire pirandelliani: il rapporto identità-rappresentazione e la follia nella sua relazione con il potere. Ne nasce una sorta di apologo che oscilla tra il realismo (molto verosimile la ricostruzione degli ambienti del partito) e uno sguardo surreale unito a un gusto per il paradosso spinto fino alle estreme conseguenze.

Per quanto il film non intenda fornire una risposta precisa sul piano politico e molte siano le questioni giustamente lasciate irrisolte, la morale complessiva è fin troppo esplicita: in opposizione al linguaggio della vecchia politica, linguaggio del calcolo, della burocrazia, della routine e del compromesso, Andò celebra il linguaggio altro di Ernani, linguaggio dell’erudizione, del sentimento, del molteplice e dell’imprevedibilità. Viva la libertà sembra quindi voler affermare la necessità di riportare la buona retorica, nel senso di ars rhetorica, e quindi la cultura, al centro della vita politica. Su un piano più generale, possiamo leggere nella vicenda anche un tradizionale elogio della follia, intesa come purezza e strumento di apertura al nuovo.

L’altro grande argomento del film, quello dell’identità, si coniuga da un lato nel tema del doppio, con un meccanismo da commedia degli equivoci perfettamente funzionante grazie a una sceneggiatura molto solida, dall’altro in quello del gioco realtà-finzione della vita pubblica, con esiti talvolta un po’ didascalici: “La politica e il cinema non sono così lontani: il genio e il bluff coesistono” rivela il regista asiatico in una battuta chiave del film, e infatti Olivieri si troverà a passare dalla scena politica al set cinematografico.

A dare respiro e dinamismo alle immagini è l’elegante e garbata leggerezza dei toni, una leggerezza che si sposa a un dolce disincanto nella parte parigina e che si fa pura ariosità in quella dedicata a Ernani (emblematica in questo senso la scena del ballo con la cancelliera tedesca).

Ma è il cast il vero punto di forza del film. Toni Servillo – già Andreotti ne Il divo di Sorrentino – è superbo nel delineare con pochi tratti caratteristici le personalità dei due gemelli, contrapponenedo allo stile compassato del politico la gestualità dissociata e il linguaggio rapsodico del filosofo, senza mai scivolare nel macchiettismo fine a se stesso. Convincente anche Valerio Mastandrea, perfetto nel trasfondere la malinconia che da sempre lo caratterizza nel personaggio di un funzionario di partito schiacciato dal senso del dovere. Degne di note, infine, le prove di Valeria Bruni Tedeschi nella parte di Danielle e di Anna Bonaiuto in quella di una collega di Olivieri.

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Alice C.Edoardo P.
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