Gangster Squad è l’ultimo film diretto da Ruben Fleischer, interpretato da un cast di nomi celebri che comprende, tra gli altri, Josh Brolin, Ryan Gosling, Emma Stone e Sean Penn.

Così la sinossi ufficiale. Los Angeles, 1949: una squadra segreta di poliziotti, guidata da due determinati sergenti, collabora nello sforzo di rovesciare il crudele re del crimine Mickey Cohen, che gestisce la città.

Abbandonati i panni di regista di commedie d’azione (suo il divertente Benvenuti a Zombieland), il dotato Ruben Fleischer affronta stavolta una gangster story di stampo tradizionale, che ricalca, nell’impianto narrativo, classici come The Untouchables o il più recente American Gangster, con un’ambientazione – la viziosa Città degli Angeli dell’immediato dopoguerra, terreno fertile per il crimine organizzato – già al centro dei romanzi noir di James Ellroy.

Racchiuso in una confezione elegante, che ricostruisce con puntualità le ambientazioni e lo spirito del tempo, il film ha la fisionomia, semplice e immediata, del cinecomic, con una trama ben raccontata ma lineare, all’interno della quale si muovono personaggi accattivanti ma con poche sfumature, facilmente riconoscibili come schierati dalla parte dei buoni o dei cattivi, e privi di quell’ambiguità perversa che caratterizzava invece le saghe letterarie di Ellroy. Qui, il bene, rappresentato dalla squadra di sbirri duri ma di buon cuore, guidati dal granitico sergente O’Mara (un Josh Brolin sobrio ed efficace, perfettamente in parte), si scontra con qualsiasi mezzo, ma senza mai abbandonare la nobiltà d’intenti, contro un male assoluto, sadico e privo di rimorsi, che ha il volto grifagno di uno Sean Penn a tratti eccessivo, quasi una versione psicopatica del De Niro di The Untouchables.

Il tocco artistico del regista si può scorgere in alcuni sprazzi di umorismo virile à la Howard Hawks (soprattutto nelle sequenze dell’assemblamento della squadra, con la presentazione dei futuri membri, e della missione d’esordio, dall’esito travagliato), nella ricchezza visiva delle scene d’azione, con sparatorie in slow motion ad alta spettacolarità, e nella brutalità di alcuni omicidi, esageratamente splatter e degni di una graphic novel.

Genere letterario, quest’ultimo, con il quale il film sembra avere più di un punto in comune, anche per lo spirito stereotipicamente eroico dei protagonisti, che non disdegnano il ricorso alla violenza ma si dimostrano mariti fedeli (tenero il rapporto fra O’Mara e la moglie incinta Connie, impersonata da Mireille Enos), leali nei confronti dei compagni (non male il ritratto del burbero pistolero Max Kennard, un Robert Patrick in forma, con baffoni e spolverino) o inclini a passioni d’amore travolgenti (come nel caso della romance, degna di un noir degli anni Quaranta, fra il cinico sbirro alcolista Jerry Wooters e la pupa del boss Grace Faraday, interpretati dai sex symbol Ryan Gosling e Emma Stone, che tornano nei panni di una coppia dopo Crazy, Stupid, Love, senza raggiungere però la stessa alchimia). E il vecchio capo della polizia Parker, cui dà vita il sempre bravo Nick Nolte, assomiglia di più a un bonario Commissario Basettoni che a un sinistro manipolatore.

Quello che manca, in questa leccatissima passerella hollywoodiana, è la genialità, la capacità di sorprendere lo spettatore, dato che fin dall’inizio si può immaginare con che tipo di film si abbia a che fare, ed è intuibile come vada a finire, per quanto la vera storia del gangster Mickey Cohen e delle operazioni di polizia che portarono alla sua caduta sia altamente romanzata e riletta in chiave antirealistica. Tuttavia fa sempre un certo piacere gioire e immedesimarsi di fronte a dei veri eroi, per quanto fumettistici e più vicini agli Howling Commandos marvelliani (anche per la varietà etnica dei membri del gruppo) che agli Intoccabili di De Palma.

Accolto con scetticismo dalla critica statunitense, Gangster Squad è un dignitoso esempio di cinema altamente professionale, fedele ai cliché, ma con una certa classe.

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Edoardo P.Giusy P.
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