La parte degli angeli: la recensione
La parte degli angeli è un film diretto da Ken Loach, presentato all’ultima edizione del Festival di Cannes, dove si è aggiudicato il Premio della Giuria, e uscito nelle sale italiane lo scorso 13 dicembre.
Vi si narra la storia di Robbie, giovane disadattato e neo-papà che, evitato per un soffio il carcere, viene condannato al servizio in comunità. Una visita ad una distilleria di whisky funge da ispirazione, a lui e ai suoi compagni di sventura, per dare una svolta alla loro vita senza speranze…
Alla sua ultima fatica dietro la macchina da presa, il settantacinquenne Loach dimostra di possedere la stessa energia dei tempi migliori, dando vita ad un affresco divertente e sferzante di vita quotidiana in una Scozia ormai pesantemente segnata dalla crisi economica, dove i giovani sembrano persi tra un presente fatto di droghe, alcol e risse, e un futuro che è solo un miraggio. Lungi dall’abbandonare la consolidata tendenza alla denuncia sociale e al ritratto realistico e impietoso della società contemporanea, Ken il Rosso si affida ancora una volta all’inseparabile sceneggiatore Paul Laverty, che utilizza toni da commedia, sfoderando grande padronanza del caustico umorismo britannico, per narrare una vicenda di perdenti tentati dal crimine ai quali viene concessa una seconda chance. In questo caso, però, non si tratta del classico racconto di redenzione, moralista nel senso hollywoodiano del termine: siamo, piuttosto, in presenza di un autentico elogio dell’arte di arrangiarsi, con qualsiasi mezzo – che riporta alla mente il soave cinismo delle black comedies Ealing dell’immediato dopoguerra – in cui i protagonisti, nella loro capacità di adattamento ad una situazione esistenziale tutt’altro che favorevole, dimostrano comunque di possedere un personale senso di moralità molto forte, anche se non certo consono alle regole imposte dalla società benpensante o dalla legge.
Loach non fa mistero di amare i suoi personaggi – oltre a Robbie, teppistello con tendenza all’aggressività, il gruppetto è composto dalla ladruncola Mo, dal contestatore Rhino e dall’idiota, ma talvolta geniale, Albert – e pare condividere il punto di vista del paterno responsabile della comunità, colui che li mette sulla strada giusta dando loro fiducia e proteggendoli dai pericoli provenienti dall’esterno; il rischio, però, è quello di uscire in parte dal tracciato, e di ricercare una soluzione fin troppo facile, e non molto credibile, per una storia che parte come un dramma sociale e si trasforma, sempre di più, in un noir comico à la Guy Ritchie, assai piacevole a vedersi ma un po’ debole nell’affrontare la complessità di certe tematiche.
Tanto di cappello, ad ogni modo, alla capacità del regista di dar vita a tipi umani in cui è facile immedesimarsi, grazie anche alla sua abilità nel dirigere un cast di attori poco noti al di fuori della Scozia ma decisamente bravi, tra i quali si distingue, nel ruolo di Robbie, il venticinquenne di Glasgow Paul Brannigan, al suo esordio ma già carismatico. Notevole anche la presenza di due veterani come il grassoccio e simpatico John Henshaw (già presente nel precedente film di Loach, Il mio amico Eric) nella parte del garante Big Harry e il raffinato istrione teatrale Roger Allam in quella di un cinico collezionista di whisky. L’attore che interpreta Rhino, William Ruane, fu co-protagonista, dieci anni fa, di un altro film del regista, il drammatico Sweet Sixteen. Puntuale anche il lavoro sulla colonna sonora, con il classico del folk-pop anni Ottanta I’m Gonna Be (500 Miles) dei Proclaimers come tema portante per le peripezie dei quattro cialtroni in kilt.
Giudicato positivamente sia dal pubblico che dalla critica, La parte degli angeli è l’ennesima riprova del buono stato di salute di cui gode il cinema britannico, soprattutto nel campo della commedia, e rappresenta una valida alternativa ai cinepanettoni di vario genere e nazionalità che affollano le nostre sale in queste vacanze natalizie.
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Chiara C. | Edoardo P. | Giusy P. | ||
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