Ho voluto parlare al pubblico… a questo desiderio di emozione”. Parla chiaro Sergio Castellitto quando spiega le intenzioni del suo ultimo film Venuto al mondo, tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Mazzantini. E lo fa attraverso uno sguardo vicino e partecipato nei confronti della storia come l’interpretazione degli attori, in primis una magnetica Penelope Cruz e attraverso immagini evocative, enfatiche e talvolta ricercate.

Ricercate come l’inquadratura iniziale. Il ponte di una nave che scorre su un mare che si tinge di rosso e di sangue. È la nave diretta verso l’isola dove Gemma e suo figlio Pietro scopriranno la verità. Poco meno di vent’anni prima Gemma è andata a studiare a Sarajevo. Qui ha conosciuto il grande amore della sua vita Diego, fotografo americano un po’ matto che ride sempre perché, come dice lui,“non sopporta di essere triste”. Ed è a Sarajevo che Gemma  realizza il suo più grande desiderio: quello di avere un figlio, lei che è una donna difettosa, un guscio vuoto, un involucro sterile. Allo stesso tempo Sarajevo e la guerra le toglieranno l’uomo che ama. Un amore al prezzo di un altro. Ecco che dopo alcuni anni Gemma e Pietro, che si vergogna di quel luogo di nascita indicato sulla sua carta di identità, tornano a Sarajevo per fare i conti col proprio passato.

Enfaticità delle immagini dicevamo. È chiaro sin dalla prima inquadratura che il regista vuole coinvolgere lo spettatore, colpirlo, fargli provare emozioni forti. Forse esagerando. Intenzione veicolata e sottolineata dalle numerose scene musicali al rallenty che conferiscono al film la sua dichiarata e non sappiamo quanto efficace melodrammaticità. Ma forse è un problema di personaggi, di una storia che funziona meglio sulla pagina che sullo schermo. Soprattutto se la si racconta ricorrendo alla parola piuttosto che alle azioni e ai fatti come mezzo per avere una presa emotiva sullo spettatore che, invece, riceve la sensazione di un film sgonfio, falsato. Nonostante i tentativi di arricchimento di Castellitto.

Perché caricare di pathos situazioni e realtà già di per sé drammatiche: la guerra, il desiderio di maternità che diventa ossessione, l’amore? Il rischio è che lo spettatore rigetti, rifiuti e smascheri perché percepisce come artefatta questa veicolazione esasperata di sentimenti e di emozioni. Perché gli elementi drammatici, le tensioni ci sono già tutte. La più importante è il desiderio frustrato, il sogno negato di diventare madre. Gemma è disposta a tutto pur di dare all’uomo che ama un figlio. Anche gettare fra le braccia di Aska, una musicista bosniaca, il suo Diego. È la follia lucida di questa donna, il suo amore totalizzante, la sua forza a farne un personaggio eroico che non ha bisogno di tanti ornamenti. Soprattutto se a interpretarlo c’è un’attrice come Penelope Cruz: un volto, due occhi, un corpo che dicono tutto e lo fanno con la potenza di un’eroina classica greca.  All’altezza della sua interpretazione c’è quella di Adnan Haskovic un passionale e spietato Gojko, la guida bosniaca e amico innamorato di Gemma e quella un po’ meno convincente di Emile Hirsch, uno spensierato e al contempo oscuro Diego. “Attori così diversi, star intenazionali, sconosciuti giovani attori bosniaci, si sono incontrati, mischiati, toccati. Raramente ho visto un’adesione così piena ai personaggi“.

E sono sicuramente i personaggi resi vivi da bravi interpreti il punto di forza del film di Castellitto che vuole parlare al cuore, prendere allo stomaco lo spettatore e rischia invece di allontanarlo da questa storia. Una storia sull’amore che come dice Gojko è come il mare che va e che viene ed è sempre lo stesso, sulla maternità che non significa mettere al mondo un figlio, ma prendersene cura, proteggerlo e tavolta esporlo al pericolo, alla sofferenza. Perchè la verità ha un sapore amaro, ma la menzogna può rendere  tutto terribilmente insapore. Come gli escamotage e i belletti di cui il regista, senza volerlo o meglio ricercando proprio l’effetto contrario,  si è un po’ maldestramente servito.

Scritto da Vera Santillo.

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