È stato il figlio è un film presentato in Concorso a Venezia 69, interpretato da Toni Servillo, per la regia di Daniele Ciprì.

In coda alle Poste, lo stralunato Busu narra ai presenti la storia di Nicola, rottamaro palermitano e padre di famiglia, colpito da una tragedia causata da un agguato mafioso. Ottenuto il risarcimento statale, Nicola decide di spenderlo acquistando l’auto di grossa cilindrata che ha sempre sognato…

Ambientato in una periferia di Palermo squallida e desolata, fra discariche stracolme di rottami di ferro e tristi condomini-alveare, questo dramma familiare dalle forti connotazioni grottesche riprende, in una veste più raffinata e meno di nicchia, i temi cari al regista, quel Daniele Ciprì che, in coppia con Franco Maresco, aveva dato voce a una Sicilia al grado zero di civiltà negli sferzanti sketch di Cinico TV.

Come nelle opere precedenti dell’autore palermitano, il gusto per lo sberleffo e la satira e le caratterizzazioni macchiettistiche, ma mai fini a se stesse, trovano spazio all’interno di una confezione molto curata sul piano visivo, soprattutto nelle ambientazioni, e ricca di soluzioni interessanti. Il bianco e nero quasi pasoliniano, tipico della filmografia di Ciprì, viene qui sostituito da un utilizzo eccellente del colore, con la sequenza del racconto di Busu filmata attraverso un filtro seppia.

Il quadro d’insieme che emerge dalla vicenda, anche in questo caso, è agghiacciante: immersi in una società stracciona e ignorante, i personaggi del film sembrano trovare l’unico rifugio nell’ingombrante presenza dell’automobile, status symbol di un benessere ottenuto con un prezzo atroce. Non molto sembra quindi cambiato, pare suggerire l’autore, dai tempi de I Malavoglia, solo che l’ossessione per la ricchezza, tipica dei personaggi del Verga, viene qui aggiornata all’epoca del consumismo (non a caso, il film è ambientato nei primi anni Ottanta), in cui il desiderio di apparire tocca anche gli strati più bassi della società.

Riproducendo alla perfezione la cadenza siciliana, un Toni Servillo sempre più poliedrico incarna vanità e vizi capitali di un padron ‘Ntoni contemporaneo, dando vita a un antieroe sgradevole e meschino oltre ogni dire. Ma è solo la punta dell’iceberg di un’umanità ripugnante, messa a nudo dal regista in tutto il suo squallore, in una tragedia dai toni surreali che si mantiene abilmente sul filo del grottesco senza negare, tuttavia, la dovuta compassione verso le uniche vittime davvero innocenti, come il mite Busu, che ha il volto scavato del bravo Alfredo Castro, già attore feticcio del regista cileno Pablo Larrain.

Esempio più che riuscito di cinema nostrano brutto, sporco e cattivo, secondo la migliore tradizione, È stato il figlio non delude le aspettative del pubblico veneziano, ormai da troppi anni abituato a opere italiane di qualità quantomeno discutibile.

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Edoardo P.Giacomo B.Giusy P.Leonardo L.
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