C’era una volta… Cannes: Dead Man
Dead Man, film diretto da Jim Jarmusch, presentato in concorso al Festival di Cannes nel 1995, è la storia del timido William Blake (Johnny Depp), che giunge nella sperduta cittadina di Machine per un posto da contabile presso le officine Dickinson. Brutalmente cacciato dal padrone, è costretto a uccidere per legittima difesa il figlio di quest’ultimo, dopo essere stato a letto con la sua ragazza. Inizia così un calvario che vede William, gravemente ferito, in fuga verso l’ignoto, inseguito da tre feroci bounty-killer e con il solo aiuto di un pellerossa che lo crede il poeta inglese suo omonimo…
Ambientato in una frontiera mai così spettrale e minacciosa, in cui dominano la violenza e la sopraffazione a tutti i livelli, Dead Man, che è stato definito dal suo stesso regista un “western psichedelico”, è sicuramente una delle opere più geniali e sorprendenti del cinema degli anni Novanta, in cui Jarmusch utilizza gli elementi classici del genere per una profonda riflessione metafisica sulla morte.
Forte di una sceneggiatura dal ritmo lento e ossessivo, che segue l’agonia del protagonista nei suoi passaggi sempre più dolorosi, e di una regia perfetta nello sfruttare la desolazione del paesaggio in cui si addentrano gli stralunati personaggi, Dead Man affronta il tema della morte come presa di coscienza della propria fragilità di essere vivente in un mondo crudele e spietato, e come viaggio spirituale verso l’infinito attraverso il disfacimento del fisico. In questo quadro filosofico, la sola conclusione accettabile sembra il passaggio al di là del fiume, in cui la guida indiana assume il ruolo di un sarcastico ma amorevole traghettatore di anime.
Con l’imprescindibile contributo della splendida fotografia in bianco e nero di Robby Muller e della straordinaria colonna sonora di Neil Young, il quale si sbizzarrisce in stranianti variazioni su un tema principale tipicamente western, Jarmusch mette in scena il tragico e allucinante viaggio all’inferno di un antieroe inizialmente candido e innocente che, avvicinandosi sempre di più alla fine, si trasforma in un cinico e spietato fuorilegge ricercato. Nel descrivere l’incubo a occhi aperti in cui Blake precipita, il regista utilizza uno stile marcatamente surreale, in cui la violenza sanguinaria di numerose sequenze, a tratti agghiacciante, risulta stemperata da dosi massicce di umorismo nero, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi secondari, tutti più o meno grotteschi nella loro stravaganza.
A questo proposito, risulta determinante l’apporto di un cast davvero eccezionale, guidato da un Johnny Depp misurato e quasi catatonico, un cadavere ambulante fin dal nome: William Blake, di cui nel film sono presenti numerose citazioni, fu, infatti, un grande poeta inglese del Settecento, teorico dell’immaginazione come base dell’esistenza umana e della percezione dell’infinito come purificazione. Al suo fianco, il corpulento Gary Farmer, attore e attivista canadese della tribù Cayuga, è una spalla loquace e protettiva, quasi un Sancho Panza per lo sventurato protagonista. Se la folta galleria di cattivi offre ritratti memorabili – il trio di bounty-killer composto dal cannibale Lance Henriksen, dal logorroico Michael Wincott e dal giovanissimo Eugene Byrd è esilarante nella sua perversione, al pari di quello di cacciatori di pelle stupratori costituito dagli irriconoscibili Billy Bob Thornton e Jared Harris e da un orripilante Iggy Pop en travesti – il migliore di tutti rimane l’anziano Robert Mitchum, che, pur recitando per pochi minuti, si congeda dal cinema con una prova straordinaria, impersonando il boss John Dickinson, il personaggio forse più malvagio e minaccioso fra tutti quelli da lui interpretati in una lunga carriera specializzata in ruoli inquietanti, nonché, sicuramente, il più grottesco.
Tirando le somme, Dead Man resta uno dei punti più alti della filmografia di Jim Jarmusch, il quale ne riprese in parte temi e filosofia di fondo nel suo film successivo, Ghost Dog – Il codice del Samurai (1999) – in cui appare in un cameo il personaggio di Gary Farmer, a sancire il legame fra le due opere – altra parabola di un antieroe tragico sul viale del tramonto, e altro capolavoro.
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Chiara C. Edoardo P. Sara M. 10 8 9