Warrior, il nuovo film di Gavin O’Connor, uscito nelle sale il 4 novembre scorso, è la storia di due fratelli praticanti di arti marziali miste, lo scontroso e solitario ex marine Tommy e il mite insegnante e padre di famiglia Brendan. Dopo quattordici anni di separazione, spinti da motivazioni diverse ma da eguale disperazione, i due si ritrovano a combattere nello stesso torneo, sotto lo sguardo annebbiato del padre allenatore, ex alcolista violento.

Il mondo delle MMA, versione moderna dei combattimenti fra gladiatori, in cui lo scontro fisico assume una dimensione di spettacolarità paragonabile soltanto alla violenza raggiunta, aveva già ispirato, negli ultimi anni, pellicole di buona fattura (Redbelt, Blood and Bone), ma in presenza di questo film, peraltro uscito in sordina nelle sale italiane, siamo ad un livello superiore: la fatica, le emozioni, la sofferenza di questi novelli Spartacus trovano finalmente una degna rappresentazione cinematografica, capace di restituirle allo spettatore in tutta la loro lancinante brutalità.

Cineasta discontinuo, penalizzato di recente da risultati deludenti (Pride and Glory), Gavin O’Connor sembra avere imparato bene la lezione di maestri del cinema virile come John Milius e Walter Hill, e sforna un’opera davvero potente, capace di tenere lo spettatore col fiato sospeso per circa due ore e venti di pellicola, in cui la maturazione psicologica dei tre protagonisti, caratterizzati in maniera convincente, passa attraverso il conflitto, fisico e mentale. Tutti contro tutti, anche contro sé stessi, attraverso i lividi, il sangue, il sudore, fino alla catarsi.

Se appaiono evidenti echi della saga di Rocky, retorica patriottica compresa (che però in un film del genere non guasta), altrettanto spontaneo sorge il paragone con The Fighter (anche quello storia di due fratelli combattenti); eppure lo spettacolo filmico regge alla grande per merito di una regia adrenalinica, forte di numerose sequenze memorabili (l’allenamento di Tommy e Brendan in split screen, l’incontro fra i due sulla spiaggia deserta, il durissimo scontro finale con la soggettiva dei colpi), e di una sceneggiatura all’altezza, senza cali di tensione, che riesce a far risultare appassionante una vicenda assolutamente classica.

Fondamentale l’apporto degli attori, tutti eccellenti: mentre Tom Hardy, dopo Bronson, si conferma un interprete titanico, capace di imprimere al suo Tommy la furia bestiale di un toro scatenato, rabbioso quanto consapevole della propria inadeguatezza, a sorprendere è il meno appariscente Joel Edgerton, australiano, che fa di Brendan un’acqua cheta che abbatte i ponti, abile ad usare il cervello ancor prima della forza. In mezzo ai due emergenti, troneggia il veterano Nick Nolte, perfetto nel ruolo del vecchio alcolizzato, che ha un pezzo di bravura nella scena della sbronza in albergo, in cui cita Herman Melville. Brava, e non soltanto decorativa, la Jennifer Morrison di How I Met Your Mother come moglie trepidante di Brendan, e simpatico il pingue caratterista Kevin Dunn nella parte del burbero preside del liceo.

Ottimo esempio di un cinema duro e violento, ma ben lungi da derive sadiche o morbose, Warrior raccoglie l’eredità dei grandi film sulla boxe attualizzandoli all’era di YouTube e della diffusione virale e virtuale delle immagini, cui il realismo delle scene di lotta e la sincerità del messaggio rappresentano un perfetto antidoto.

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Leonardo L.
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