Super: la recensione
Uscito negli Stati Uniti in primavera, Super, di James Gunn (già autore della gustosa miniserie web PG Porn) e con protagonista lo stralunato Rainn Wilson (il Dwight Schrute della versione americana di The Office), esce ora in Italia spacciato come una commedia indie sulla falsariga di Juno, complice la presenza nelle vesti di coprotagonista di Ellen Page.
Il film narra la storia di un cuoco che, ispirato in parallelo da una visione divina e da un patetico super-eroe ultracristiano televisivo (il sempre gigione Nathan Fillon), si traveste da Saetta Purpurea e combatte il crimine, cercando al contempo di riprendersi la moglie fedifraga dalle grinfie di un proprietario di night club dedito allo spaccio di stupefacenti.
Super, ben lungi dall’essere una commediola stravagante e accattivante, può essere considerato prima di tutto come il diario di una (o, meglio, due) nevrosi: Frank, il protagonista, un perdente afflitto da allucinazioni a sfondo sessuale-religioso, non riesce ad affrontare i propri problemi se non creandosi la maschera di Saetta Purpurea, e sfogando in maniera violenta le proprie pulsioni sulla società, giustificato dai fini di giustizia che persegue. Sua compagna in questo percorso psicotico è Libby, altra squinternata che riveste sia i panni di sidekick, sia il doppio oscuro di Frank, dal momento che per lei non è neppure necessaria una supposta giustificazione razionale o morale per menare a sangue chi le sta antipatico o le ha fatto uno sgarbo.
Il film si fa guardare, anche se le idee di regia non vanno oltre una serie di primi piani ben riusciti e di tremolanti camere a mano, ma la confezione è troppo disomogenea, troppo scollata nei suoi vari pezzi per riuscire a vedervi un qualche chiaro scopo (magari di critica a quel genere supereroistico che ha preso piede in questi ultimi anni). Le scene di violenza, spesso sconfinanti nello splatter, sono sì un ottimo contraltare agli inserti cartooneschi, ma risultano talmente allucinate e gratuite da costituirsi come un elemento troppo forte per essere considerato un registro parodico efficace; di questo forse la causa è da cercare nelle origini tromesche del Gunn, che emergono come una nota manieristica, un po’ nostalgica di certo sottobosco da b-movie, proprio quando sarebbe stato invece opportuno tirare leggermente il freno a mano.
Super, alla fine, è un calderone attraente e repulsivo allo stesso tempo, e in questo sta il suo fascino, l’essere una interessante costruzione nella quale si entra con una certa meraviglia, per poi prendersi una capocciata su di uno spigolo troppo basso. Cosa che, comunque, può avere qualche apprezzabile risvolto, soprattutto considerando che i rapporti fra i personaggi sono stati gestiti in modo più che dignitoso e in molti tratti intelligente.
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Chiara C. | ||
7 |
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