C’era una volta… Cannes: “Crash”
I rule my body from the throne of agony
– Foetus-
A seguito di un incidente stradale, James Ballard intraprende, insieme alla moglie Catherine, a Helen, vedova dell’uomo morto nello stesso incidente e Gabrielle, giovane con protesi metalliche agli arti inferiori, un percorso di iniziazione sessuale guidato da Vaughan, teorico della fusione corpo-macchina e della morte come opera d’arte.
Quella fra J.G. Ballard e David Cronenberg è un’affinità elettiva che non poteva non concretizzarsi in una trasposizione filmica. I due condividono immaginario, linguaggio e un’idea di fantascienza rivolta allo spazio interno che diventa inquietante e minaccioso molto più di qualsiasi pericolo esterno immaginabile. “L’unico pianeta veramente alieno è la Terra” e, restringendo ancora di più il campo, la mente umana e l’inconscio che per Ballard (cultore di Dalì e del Surrealismo) sono gli l’unici e veri oggetti d’indagine.
Cronenberg, d’altra parte, avendo fatto dell’interazione mente-corpo, dell’ibridazione e della sessualità i leitmotive della sua filmografia, riesce a rendere in modo terribilmente efficace l’atmosfera della narrazione. Negli sguardi che si soffermano sugli elementi della carrozzeria, come sulle parti di un corpo martoriato o sui resti di liquidi organici, si manifesta tutta la forza di un’eccitazione fredda. Sciocco pensare che “Crash” abbia a che fare con l’erotismo e con la pulsionalità: sempre più, nell’età della tecnica, la sessualità è astrazione e intellettualizzazione.
Il pensiero onnipotente che domina il demiurgo Vaughan è, come in tutte le perversioni, superamento del limite e ritorno all’indifferenziato. Il primo passo è fusionale, nel continuum corpo-macchina; l’ultimo è, inevitabilmente, la morte, unica pacificazione per una tensione che non può avere mai completa soddisfazione.
Convincenti le prove attoriali, perfetta la fotografia metallica e glaciale di Peter Suschitzky e la regia che rende evidente, con stile asciutto e inesorabili carrellate, la morte del sentimento e l’asettica estraneità rispetto al resto del mondo, ridotto a oggetto di osservazione scientifica e manipolazione.
Nel cupo pessimismo di Ballard e Cronenberg sta una delle denunce politiche e sociali più forti del secolo: contro quel “mondo brutale, erotico e sovrailluminato che sempre più suasivamente c’invia il suo richiamo”.
Scritto da Barbara Nazzari.
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