Il Gioiellino: la recensione
La Leda (Latte E Derivati Alimentari) è un’azienda del Nord Italia almeno in apparenza florida, in continua espansione verso nuovi settori e nuovi mercati, e definita “un gioiellino” dal presidente e fondatore Amanzio Rastelli (Remo Girone – La piovra, Heaven), che, fra una visita in Chiesa e una all’amico senatore (Renato Carpentieri – Porte aperte, Noi credevamo), sfoggia entusiasmo ed ottimismo. L’amministratore delegato Ernesto Botta (Toni Servillo – La ragazza deI lago, Il Divo), cui è affidata la gestione finanziaria, cerca di far quadrare i conti destreggiandosi fra banche e altre fonti di credito; la nipote di Rastelli, Laura Aliprandi (Sarah Felberbaum – Maschi contro femmine), fresca di master, inizia come assistente di Botta ma fa carriera rapidamente; il giovane manager Filippo Magnaghi (Lino Guanciale – Vallanzasca), laureato alla Bocconi, viene assunto come esperto di marketing ma è il primo ad accorgersi delle reali difficoltà dell’azienda. Sempre più indebitata e incapace di reagire positivamente alle sfide del mercato, la Leda sprofonda in un’enorme crisi che avrà conseguenze disastrose… anche se non per tutti.
Opera seconda di Andrea Molaioli, dopo l’interessante ma, almeno in parte, sopravvalutato La ragazza del lago, Il Gioiellino è una libera ricostruzione di uno dei più devastanti crac finanziari degli ultimi anni, quello della Parmalat, che portò alla rovina milioni di risparmiatori e al carcere più o meno l’intero staff dirigenziale. Il regista cambia i nomi dell’azienda e dei suoi amministratori (Calisto Tanzi diventa Amanzio Rastelli, Fausto Tonna si trasforma in Ernesto Botta), sposta l’ambientazione da Parma ad Acqui Terme e reinventa i personaggi e le loro storie, ma riporta sullo schermo in maniera chiara e precisa il meccanismo perverso di malversazione finanziaria che determinò la bancarotta del colosso agroalimentare emiliano.
Il risultato è un esempio più che riuscito di cinema italiano di forte impegno civile, lucido ed impietoso nel trattare la materia, ma al tempo stesso assolutamente libero da tentazioni moraliste: lo sguardo del regista è freddo e asettico, lascia che sia lo spettatore a giudicare i protagonisti, che appaiono non tanto come diabolici squali alla Gordon Gekko di Wall Street – egoista megalomane ma dotato di grande carisma e perfettamente inserito nell’ambiente – quanto come dilettanti allo sbaraglio in un sistema economico troppo complesso per le loro modeste capacità e i loro ancor più scarsi mezzi, ambiziosi ma incoscienti, cinici ma poco furbi. La pregevole fotografia di Luca Bigazzi, tutta sui toni del giallo e del verde, illustra perfettamente l’Italia di provincia, misera e malata dietro l’apparenza solare, in cui si svolge la vicenda.
Uno dei maggiori meriti della riuscita del film è da attribuire alla sceneggiatura, che percorre dieci anni di storia economica italiana, attraverso le vicissitudini della Leda e dei suoi dirigenti, in maniera scorrevole ma non frenetica, lasciando spazio alla caratterizzazione psicologica e senza risultare mai pesante o noiosa anche per lo spettatore meno paziente e meno ferrato in materia, grazie anche a una pungente ironia di fondo che mette a nudo le gaffes e le debolezze dei personaggi. Divertenti risultano infatti, fra le tante, la scena in cui Botta mette in pratica la sua (modesta) conoscenza dell’inglese, appresa con un corso in audiocassette, per insultare in madre lingua un banchiere americano, o quella, più amara, in cui Rastelli si reca nella villa del presidente del Consiglio (mai nominato), in compagnia del figlio baldanzoso, per trattare sul passaggio del giocatore di punta della sua squadra di calcio, appena dichiarato incedibile, a quella del presidente stesso.
Straordinario il lavoro degli attori, primo fra tutti Toni Servillo, già protagonista del precedente film di Molaioli, che consolida la sua posizione di principale interprete del cinema impegnato italiano contemporaneo, anche se il frequente paragone con Gian Maria Volonté non rende giustizia a due attori estremamente diversi per formazione e stile. Ernesto Botta è l’ennesimo personaggio sgradevole incarnato dall’attore napoletano, arido e anaffettivo, brutale ed irascibile, disposto a qualunque manovra, anche la più ardita, pur di salvare l’azienda, concedendosi solo qualche fugace rapporto sessuale per allentare la tensione: una figura amorale più che immorale, nella sua totale dedizione al lavoro e nella sua sincera incapacità di coltivare rapporti umani. Gli fa da contraltare Remo Girone con il suo Amanzio Rastelli, uomo di chiesa e di famiglia, rassicurante e paternalista, campione di pubbliche relazioni e pieno di amicizie altolocate, sognatore a parole ma molto meno a fatti: grande prova quella dell’attore nato ad Asmara, come sempre misurato ed elegante.
Convincenti anche gli altri interpreti, in particolare la sorprendente Sarah Felberbaum, ex ragazza acqua e sapone degli spot TIM di una decina di anni fa, che incarna con grande realismo la sensuale quanto ambiziosa Laura, decisa a giocare tutte le proprie carte pur di conquistare una posizione di rilievo nell’azienda di famiglia; completano il cast Lino Guanciale, nelle vesti del giovane direttore del settore commerciale, dal carattere fragile ed emotivo, e Fausto Maria Sciarappa in quelle, assai meno tormentate, di un dirigente con un debole per le ragazze dell’Est.
In conclusione, un film di cui l’Italia può andare fiera, che non ha nulla da invidiare agli analoghi prodotti hollywoodiani, e che rappresenta la migliore risposta possibile a coloro che vedevano il cinema nostrano naufragato in un mare di commedie senza spessore e ormai incapace di ritrarre l’attualità senza cadere nella propaganda.
Continua a errare con noi su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.
Regista: - Sceneggiatore:
Cast:
Pieno rispetto per il tuo punto di vista.
Io ho trovato “La ragazza del lago” un film dignitoso, ma comunque televisivo nello stile registico e nello svolgersi della vicenda, con una soluzione poco convincente, così come ho trovato poco convincenti le scene alla clinica con la moglie malata di Alzheimer.
“Il gioiellino”, invece, è un’opera più personale, e non ho trovato sequenze inutili o poco riuscite, anche quella dell’amplesso fra Servillo e la Felberbaum, che tu hai criticato, mi è apparsa funzionale a mostrare la totale aridità dei due, anche nei momenti di intimità.
Hai scritto che “La ragazza del lago” è stato sopravvalutato. Credo invece che sia il contrario. “Il gioiellino” è un film sopravvalutato, lontano dallo splendido prodotto dell’opera d’esordio. Concordo con il fatto che ci sia un’ottica fredda e distaccata, molto di moda ultimamente nel cinema italiano d’autore. Ma “Il gioiellino” è una ciambella riuscita senza buco. Imperfetta. Se vuoi c’ho scritto su sul mio blog: http://onestoespietato.wordpress.com/2011/03/27/il-gioiellino/