Into Paradiso: la recensione
Presentato nella sezione Controcampo italiano alla 67° edizione del Festival del Cinema di Venezia, Into Paradiso è l’opera prima della regista Paola Randi; la pellicola racconta la storia di Alfonso (Gianfelice Imparato), uno scienziato napoletano che, dopo aver perso il lavoro, si trova costretto a chiedere una raccomandazione al suo vecchio amico d’infanzia e politico in carriera, Vincenzo Cacace (Peppe Servillo). Solo in seguito, quando suo malgrado verrà coinvolto in un regolamento di conti tra camorristi, Alfonso si renderà conto che l’amico è imbrigliato con la malavita locale.
Nel tentativo di sfuggire ai tirapiedì del bos, lo scienziato si nasconderà presso una comunità di srilankesi dove avrà modo di conoscere Gayan (Saman Anthony) che, giunto in Italia convinto di trovare il “paradiso”, si è ritrovato, invece, a vivere in una catapecchia abusiva.
Paola Randi, per questo suo debutto, ha scelto di presentare al suo pubblico la Napoli del multiculturalismo con l’intenzione di affrontare, attraverso i toni della commedia, temi difficili come immigrazione ed integrazione; quest’intenzione è già chiara a partire dal titolo dove il termine Into diventa programmatico costituendosi come neologismo che per assonanza rimanda, da un lato all’espressione dialettale, dall’altro al più universale in to inglese.
La cineasta, come ha lei stessa affermato, ha particolarmente a cuore il tema del multiculturalismo e lei stessa ama definirsi una migrante: lombarda di nascita e palermitana d’adozione, la sua vita, infatti, è stata segnata da continui spostamenti. La regista ha visto, così, nella città di Napoli lo scenario ideale per raccontare questa storia, ma se l’integrazione tra culture diverse è il tema centrale della pellicola, Into Paradiso ne abbraccia anche altri nel tentativo di ricostruire un quadro fedele non solo della città, ma dell’intero paese.
Il film affronta, quindi, temi come la malavita, la corruzione dei politici e il precariato, ma lo fa attraverso un umorismo di fondo che tende ad allegerirli nel loro insieme. In questo senso, molto si deve alla bravura degli attori che hanno saputo creare una sintonia perfetta regalando al pubblico momenti di reale comicità; e se da Gianfelice Imparato (Il divo, Gomorra, L’ora di religione) potevamo aspettarci una buona performance, è Peppe Servillo (Passione, Lascia perdere Gionny!) la vera sorpresa: conosciuto principalmente come voce degli Avion Travel, infatti, si è rivelato in questo film di una bravura inaspettata; come notevole è stata anche l’interpretazione di Saman Anthony, alla sua prima esperienza cinematografica qui in Italia.
Ma il film si arricchisce anche dei contributi di una regia mai banale che fa oscillare la narrazione tra realtà e immaginazione e affida alle tecniche di animazione la responsabilità di portare in scena i sogni ad occhi aperti di Alfonso, momenti di pura invenzione che danno alla pellicola un tocco in più di surrealismo. Eppure resta in piedi, nonstante tutto, l’impianto realistico di questa commedia che mai dà l’impressione di allontanarsi dall’attualità e che, anzi, continua a confermare la volontà della regista di parlare di problemi concreti.
L’unica nota di demerito del film é costituita dalla sua distribuzione che è stata forse troppo mirata; infatti, interessando in larga misura la Campania e qualche città del centro Italia ha completamente ignorato le sale del nord Italia (ad eccezione dei comuni della Lombardia). E’ un vero peccato, credo, che questa pellicola sia così poco visibile, in un momento in cui sono davvero pochi i prodotti di qualità proposti dal cinema italiano.
Scritto da Rossella Carpiniello.
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Chiara C. | ||
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