L’amore bugiardo – Gone Girl: la recensione
David Fincher torna in sala con un thriller psicologico: L’amore bugiardo – Gone Girl, tratto dal popolare romanzo di Gillian Flynn, che ne firma l’adattamento. È difficile stabilire cosa aspettarsi da Fincher: è un regista discontinuo che ha diviso la sua carriera tra film intelligenti, nei quali ha mostrato la sua abilità di decostruttore di generi, e compitini hollywoodiani mal riusciti o eseguiti senza passione. Nel caso di Gone Girl, non siamo davanti a una prova autoriale come The Social Network; e siamo lontani anche dalle prime – ottime – idee del regista, che vent’anni fa ha fatto scuola con il sovvertimento del poliziesco attuato in Seven, completando il lavoro nel 2007 con l’ambiguo Zodiac.
Gone Girl segue semmai le orme dell’ultimo lavoro cinematografico di Fincher, Millennium – Uomini che odiano le donne, dall’opera omonima del padre di tutti i giallisti svedesi Stieg Larsson. Con Gone Girl il regista prova a spingersi un po’ più in là dell’algida trasposizione di un poliziesco abbastanza convenzionale, e sceglie un romanzo più difficile ingaggiandone l’autrice per la sceneggiatura. Carne al fuoco ce n’è molta, forse troppa, e l’accoppiata Fincher-Flynn orchestra un lavoro di sintesi che funziona sotto molti aspetti, creando sottintesi e allusioni fuori dall’ovvio, ma ripulisce il testo eliminando anche qualche buona idea alla base dell’identità del romanzo (in primis l’insistenza sul tema della disoccupazione e la lugubre ambientazione post-crisi). Il risultato è un film che evita la trappola del didascalico, ma pare talora scritto col freno a mano tirato, come se Fincher si stesse chiedendo se girare La guerra dei Roses degli anni ’10 e decidesse infine di non farlo.
Esageratamente incensato dalla critica americana, Gone Girl è in realtà proprio quello che sembra: un classicissimo psycho-thriller ben confezionato, che non si spinge un metro più in là di così. Possiamo però apprezzarlo proprio per la sua natura, la realizzazione elegante, la sceneggiatura agile, e soprattutto per l’interpretazione strepitosa di Rosamund Pike, che con un fremito del sopracciglio riesce a raccontare storie da brivido (impossibile uscire dal cinema senza esserne diventati fan accaniti). Buona la scelta del cast, con la giusta collocazione per la faccia di cemento di Ben Affleck e un’azzeccata selezione di comprimari, tra i quali spiccano alcuni eccellenti volti televisivi come un tragicomico Neil Patrick Harris e l’ottima Kim Dickens (Sons of Anarchy, Treme) nel ruolo della detective.
Gone Girl è il racconto di un incubo matrimoniale dalla morale cinica, impietoso nei confronti di tutti i suoi personaggi (ma in fondo schierato contro il versante femminile), curatissimo nei dettagli. Sfiora la satira con un battito d’ali per ritrarsi subito. È un film di genere e come tale è ben riuscito, anche se la sua rappresentazione delle donne meriterebbe un’analisi a sé stante.
Sara M. | Alice C. | Antonio M. | Chiara C. | Edoardo P. | Eugenio D. | Giacomo B. | Sara S. | Thomas M. | ||
7 | 7 1/2 | 7 | 8 | 8 1/2 | 7 | 7 1/2 | 9 | 7 |
Regista: - Sceneggiatore:
Cast: