I segreti di Osage County: la recensione
Un quadro di famiglia profondamente cattivo e mai consolatorio
Per la sua seconda regia cinematografica, I segreti di Osage County, John Wells – produttore esecutivo di molte serie TV e regista di The Company Men – torna a raccontare i drammi di un’America in crisi di valori, prima che economica, attraverso la vicenda di una famiglia che, riunitasi in occasione di un evento luttuoso, si confronta con problemi seppelliti per anni dietro a una facciata di ipocrisia, arrivando a rotture violente e insanabili. Una storia, questa, tratta da un testo teatrale di Tracy Letts e sceneggiata dallo stesso drammaturgo, che porta così avanti anche al cinema la sua opera demolitrice dell’immagine della famiglia americana iniziata due anni fa con Killer Joe, stavolta sottoforma di commedia senza omicidi, ma dallo spirito acido e dissacrante.
Sullo sfondo della desolata pianura dell’Oklahoma, si consuma infatti il suicidio del poeta alcolizzato e depresso Beverly Weston, che lascia vedova Violet, mater familias malata di cancro e imbottita di pillole. La donna viene così raggiunta nella cadente casa familiare dalla sorella Mattie Fae e dalle figlie Barbara, Karen e Ivy, ognuna col suo carico di uomini, segreti e vecchie frustrazioni, destinate a rivelarsi nella maniera più esplosiva e traumatica possibile.
Nella recitazione istrionica di una Meryl Streep in bilico tra follia e lucidità risiede tutta la forza di un personaggio sarcastico e inaridito dalle esperienze di vita e dalla malattia, che mette a nudo le debolezze dei suoi familiari in uno scontro di personalità in cui le donne fanno la parte del leone ed estraggono denti e unghie nel difendere quel poco che si sono conquistate, mentre i personaggi maschili si dimostrano, a seconda dei casi, inadeguati, assenti, preda degli istinti più bassi o comunque troppo vigliacchi per affrontare la realtà. Un quadro di famiglia avvelenato dall’odio e dal rancore, che emerge in dialoghi brillanti e ricchi di umorismo cinico, e che raggiunge il climax nella memorabile sequenza del pranzo, nella quale Violet supera ogni tabù di buon gusto aggredendo verbalmente quasi tutti i commensali, e in quella, più riflessiva, del dialogo notturno fra le tre sorelle. La regia di Wells, sobria ed essenziale, sembra quasi farsi da parte di fronte all’esplosivo script di Letts e ai virtuosismi degli attori, lasciando a questi ultimi la massima libertà di tratteggiare personaggi pieni di difetti e abbastanza sgradevoli, ma tutti molto credibili. Nei panni della figlia maggiore Barbara, una Julia Roberts mai così rabbiosa tiene testa alla Streep, dando vita a un conflitto generazionale con radici troppo profonde per trovare soluzione. Fra gli altri, uno spassoso Chris Cooper (già presente in The Company Men) nel ruolo del marito sempliciotto di Mattie Fae e un tremebondo, straordinario Benedict Cumberbatch in quello del timido nipote, impegnato anche in una sequenza musicale al pianoforte, si distinguono particolarmente in un film corale a tratti molto divertente, ma profondamente cattivo e mai consolatorio.
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