La trentesima edizione del Torino Film Festival ha avuto tra le sue punte di diamante la proiezione in anteprima dell’atteso Anna Karenina di Joe Wright, presentato nel saporito e variegato fuori concorso della kermesse torinese ‘Festa Mobile’.

L’eroina nata dalla penna di Lev Tolstoj è interpretata da Keira Knightley, ultima di una lista che comprende Greta Garbo (Anna per 2 volte, una muta e una parlata), Vivien Leigh e Sophie Marceau. Tradurre in immagini un’opera fiume, per rivoli narrativi e di senso, quale è il romanzo dello scrittore russo, è sempre un’impresa ardua: il rischio più grosso sarebbe stato quello della semplice e sterile illustrazione, della fedeltà accademica e didascalica al modello letterario. Così ne sarebbe venuta fuori, probabilmente, un’elegante, pomposa e prolissa traduzione in immagini, in cui l’ammirazione iniziale di abiti e arredi avrebbe lasciato spazio ad un sempre più forte torpore.

Il regista Joe Wright evita questa soluzione, scioglie il film dalle briglie dell’illustrazione senza tradire Tolstoj e realizza un musical implicito. Infatti, è come se i personaggi si muovessero quasi come a seguire le note di un balletto, e sembra spesso siano sul punto di esplodere, interrompendo il flusso canonico della narrazione e iniziando a cantare (senza dimenticare la sequenza di vero ballo, importante snodo narrativo). Ne esce quindi una trasposizione vivace, dal ritmo frenetico e costante, che alterna diversi toni, cosa quest’ultima che la rende affine al romanzo di partenza e in generale al romanzo ottocentesco.

Un variegato ed esplosivo spettacolo, in più punti visivamente splendido, che dichiara apertamente la sua natura di finzione, giocandoci continuamente e raccogliendo da questo gioco il suo senso d’essere: a fare da sfondo alla storia è infatti un teatro, con palco, platea e dietro le quinte. Qui si svolgono le vicende rappresentate, con palco e realtà che coincidono e si mischiano continuamente, e con i personaggi allo stesso tempo attori e spettatori ‘giudicanti’. Così, si può svolgere tranquillamente il copione delle usanze e delle regole (‘Non ha infranto la legge, ha infranto le regole’: con queste parole uno dei personaggi accusa Anna) sociali dell’aristocrazia e dell’alta borghesia russa che soffocano le libertà e i desideri di Anna e di altri personaggi. Questo è un copione rigido che non lascia spazio all’improvvisazione, e non un canovaccio da cui ci si può allontanare seguendo l’ispirazione: pena, la fine della protagonista. Questa è la grande idea del film, sia a livello di immediata costruzione narrativa e visiva, sia perché si avvicina così al senso della critica rappresentazione sociale presente in Tolstoj.

Non solo teatro e musical imploso, ma anche arte visiva: molte inquadrature, nello sfondo come nelle pose dei personaggi, si ispirano ad opere d’arte importanti, dalla ‘Colazione sull’erba’  e  ‘Un bar aux Folies Bergere’ di Manet alla Pietà di Michelangelo, rendendo ancora più stimolante e variegato il rutilante spettacolo.

Tutto funziona nel lavoro di Wright. O meglio: quasi tutto. C’è una cosa che non convince appieno, e purtroppo non è un difetto da poco: a non convincere del tutto è proprio Anna Karenina, un po’ appiattita e monotematica, lontana dalla complessità del personaggio, anche a causa di un non entusiasmante e un po’ monocorde Knightley. Peccato, perché questa è l’unica, non irrilevante, pecca di un film altrimenti quasi perfetto, divertente, stimolante e stratificato, più di quanto possa apparire nell’immediato.

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Irina M.
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