Venezia 69. The Reluctant Fundamentalist: la recensione
Apre il Festival di Venezia The Reluctant Fundamentalist, ultimo lavoro della regista indiana Mira Nair. Leone d’Oro nel 2001 con Monsoon Wedding, la regista propone al Lido un mélo post 11 settembre ben confezionato, che cerca di raggiungere il grande pubblico.
Ma forse è proprio questo il problema. La Nair relizza un film da bollino verde, tratto dall’omonimo romanzo di Mohsin Hamid, che mira a sensibilizzare lo yankee medio senza, però, andare in profondità.
Nel raccontare la storia di Chanzed Khan (Riz Ahmed), pakistano della classe media che riesce a laurearsi a Princeton e ad essere assunto da un’importante agenzia finanziaria di New York, cade in una banalità che sa di già visto. Poi, per fortuna della Nair, succede qualcosa. Le Torri Gemelle crollano e il suo paladino delle analisi economiche si trova ingiustamente braccato dalle forze dell’ordine statunitensi. Grazie a questo punto di svolta, la pellicola si colora di sviluppi interessanti, ricreando il clima da caccia alle streghe che investì chiunque, dopo l’attentato, portasse barba lunga e profumasse troppo di curry. Chanzed, nonostante il portafoglio gonfio di dollari e i vestiti di Calvin Klein, non riesce ad evitare l’odio e l’ostilità di un Paese che improvvisamente si scopre nazionalista. Così, in piena crisi d’identità e dopo aver lasciato Erica, sua improbabile ragazza (una Kate Hudson ancora più improbabile), abbandona il suo sogno americano per tornarsene a casa, a Lahore.
Sostenuto dall’ottima prova di Riz Ahmed, rapper e attore brillante, e dalla scelta azzeccata di una soundtrack spesso arricchita da pezzi dal vivo, il film oscilla tra un desiderio autoriale e la necessità di un prodotto in grado di raggiungere le masse: questa volta, ci dispiace dirlo Mira, ma la giusta via non sta nel mezzo.
Scritto da Micol Lorenzato.
Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.
Regista: - Sceneggiatore:
Cast: