Captain America – The Winter Soldier: la recensione
Un eroe d'altri tempi per un sequel superiore al prototipo
Dopo Iron Man e Thor, anche Cap entra nel vivo della cosiddetta Fase 2 dell’universo Marvel, ma, a differenza dei colleghi, con un risultato convincente. Captain America – The Winter Soldier, la seconda impresa in solitaria sullo schermo del Super Soldato a stelle e strisce, vede in cabina di regia i fratelli Anthony e Joe Russo – già autori della serie televisiva Community – i quali, ispirandosi in parte a una delle più belle saghe fumettistiche del personaggio (quella de Il Soldato d’Inverno, scritta da Ed Brubaker nel 2005) realizzano un sequel forse superiore al prototipo del 2011 (che era già, di per sé, un buon film), nel quale Captain America, con l’aiuto delle ormai poche persone di cui si fida, deve scoprire chi sta cospirando contro lo SHIELD e si ritrova ad affrontare uno dei più pericolosi killer sulla piazza, l’agente sovietico Winter Soldier, come lui proveniente dal passato.
Epurando la messinscena dagli eccessi di comicità demenziale e di effetti digitali che appesantivano le ultime uscite di Iron Man e Thor, i Russo allestiscono, più che un film di supereroi, un action movie complesso e ricco di tensione, con un occhio alla spy story contemporanea (la saga di Jason Bourne e gli ultimi James Bond), ma profondamente immerso in un’atmosfera di paranoia che riporta al thriller cospirazionista degli anni ’70, del quale recupera infatti l’interprete più iconico e prestigioso, quel Robert Redford che fu protagonista de I tre giorni del Condor e di Tutti gli uomini del Presidente, e che qui, nei panni del vecchio dirigente dello SHIELD Alexander Pierce, incarna alla perfezione le ambiguità e i compromessi della politica attuale. In questo contesto, emerge molto meglio che nella spensieratezza del whedoniano The Avengers la riflessione sulla natura di uomo d’altri tempi di Steve Rogers; una riflessione che assume in certi casi connotati divertenti (la lista di cose da recuperare è già entrata nella Storia, anche se discutibilmente adattata a seconda della lingua del doppiaggio), in altri malinconici (l’incontro in ospedale con Peggy Carter), ma soprattutto si dimostra efficace nel confronto fra un’epoca più ingenua, quella della giovinezza del personaggio (già al centro di Captain America – Il primo vendicatore), in cui c’erano ideali per cui combattere e i nemici erano evidenti e palpabili, e un presente in cui non si sa di chi fidarsi, e nel quale un uomo dalla caratura morale di Cap non può che trovarsi a disagio.
Alla perfetta caratterizzazione del protagonista, per la quale parte del merito spetta all’interprete Chris Evans, che appare qui molto più maturo e convincente rispetto ai suoi esordi come Super Soldato, il film affianca un uso mai così felice di personaggi già apparsi nella continuity cinematografica – soprattutto la sensuale Vedova Nera, ottimamente resa dalla poliedrica Scarlett Johansson, che qui assume il ruolo di co-protagonista, e il sempre misterioso Nick Fury, che si avvale del grande carisma di Samuel L. Jackson – e un’altrettanto riuscita introduzione di nuovi comprimari, fra cui il simpatico Falcon interpretato da Anthony Mackie. Anche il villain, il Soldato d’Inverno (impersonato dal rumeno Sebastian Stan), per quanto parli poco (e somigli ad Adam Kadmon, che per questo si è reso protagonista di una ridicola polemica su Twitter), possiede la statura tragica di un antieroe, vittima del sistema prima ancora che carnefice al servizio di esso.
Sequenze d’azione appassionanti (la missione iniziale sulla nave occupata dai terroristi, l’attentato a Nick Fury e il primo scontro con Winter Soldier), e solo talvolta eccessive (la battaglia finale agli ultimi piani di un grattacielo, molto in stile Die Hard) si alternano a ottimi dialoghi (i confronti verbali fra Jackson e Evans e fra quest’ultimo e la Johansson approfondiscono bene il legame fra i rispettivi personaggi) in uno dei cinecomic Marvel più riusciti di sempre, serio ma non serioso, in cui trovano spazio diverse citazioni dal fumetto (grazie alla consulenza dello stesso Ed Brubaker), dal cinema di varie epoche e generi (se l’idea di base è debitrice de I tre giorni del Condor, la scena in ascensore fa pensare a Drive, mentre quella del computer senziente omaggia Wargames) e dalle serie televisive, con il cameo di due attori di Community, a ricordare il substrato culturale dal quale provengono i registi. Completano il quadro, come di consueto, il buffo cameo di Stan Lee e due post-credits scene, delle quali solo la prima, diretta da Joss Whedon, importante ai fini della continuity. Solito pasticcio del doppiaggio italiano: alcuni nomi di battaglia tradotti, altri no, con un effetto abbastanza grottesco nei dialoghi (perché non chiamarlo, una volta per tutte, Capitan America?).
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Edoardo P. | Gianluca L. | Leonardo L. | ||
8 | 8 | 8 |