Arnold Schwarzenegger torna a vestire i panni del cyborg T-800 in Terminator Genisys, quinto capitolo della saga inaugurata nel 1984 con il film di James Cameron, dopo averne saltato il quarto a causa dei suoi incarichi politici. Stavolta, in cabina di regia, c’è l’emergente Alan Taylor, che porta in dote, dopo averla diretta in Game of Thrones, la protagonista Emilia Clarke la quale, momentaneamente smesso il manto regale di Daenerys Targaryen, indossa qui il giubbotto di pelle di una Sarah Connor giovane, ma tosta come nella serie TV a lei dedicata.

Questo nuovo sequel, i cui fatti iniziali si svolgono in quell’ormai non così lontano 2029, in cui la resistenza umana di John Connor (Jason Clarke) sta per affrontare la battaglia decisiva contro Skynet, ci mostra una sorta di versione alternativa dei fatti accaduti nei capitoli precedenti, con Kyle Reese (Jai Courtney) che, una volta giunto nel 1984, trova non uno, ma ben due T-800, e una Sarah ben diversa dalla damigella in pericolo che si aspettava…

L’idea di base dell’eroe che scorazza avanti e indietro nel tempo per impedire l’accadimento di eventi catastrofici, trovandosi faccia a faccia con versioni di se stesso di epoche diverse, non è certamente originale: un esempio su tutti, il secondo capitolo della saga di Ritorno al futuro. Ed è proprio a un cinema avventuroso, ma tutto sommato leggero e poco violento, che il film sembra guardare, più che al cyberpunk con tocchi dark dei suoi predecessori. Influenzato dallo stile pirotecnico e guascone dei cinecomic Marvel – fra cui quello diretto da lui, Thor: The Dark World – Taylor centra il bersaglio solo in parte. Se la prima mezz’ora non fa altro che citare il prototipo del 1984, riproponendone in toto alcune sequenze, a lungo andare se ne sgancia, ma la pur apprezzabile intenzione di aggiornare la minaccia di Skynet all’epoca dei social network, quasi ad ammonire lo spettatore dai rischi collaterali di un’umanità perennemente connessa alla rete (che va a sostituire il messaggio del film originale, figlio della corsa agli armamenti della Guerra Fredda), naufraga nella superficialità di una messinscena un po’ confusa e troppo improntata sulla commedia. Lo stesso vale per i personaggi: se l’idea di valorizzare l’aspetto umano di T-800 – sia fisicamente, facendolo invecchiare, sia caratterialmente, trasformandolo in una figura paterna per Sarah – funziona alla grande, grazie soprattutto a uno Schwarzy più autoironico che mai, che non nasconde le rughe e riesce a essere divertente quasi quanto è divertito (i duetti fra lui e la Clarke sono forse la cosa migliore del film), altrettanto non si può dire del cambiamento di ruolo del messianico John, malgrado gli sforzi di Jason Clarke nel renderlo ambiguo. Un po’ anonimo il Kyle di Jai Courtney, mentre la tanto sbandierata presenza di Matt Smith (l’Undicesimo Dottore in Dr.Who) si risolve in un’apparizione di pochi minuti, che non lascia il segno; fondamentalmente in linea con il film, abbastanza gradevole ma non certo memorabile.

Davide V.
6