The Last Man on Earth è una sitcom geniale creata e interpretata da Will Forte. È prodotta da Christopher Miller e Phil Lord, registi di The Lego Movie e Piovono polpette. La sinergia tra la comicità adulta e il cartoonesco genera la cifra stilistica di una prima stagione eccellente. Il cuore pulsante della serie è il suo autore-attore Will Forte. Prolifico scrittore di cinema e tv (David Letterman, Jenny McCarthy), veterano del Saturday Night Live, ha interpretato Nebraska ed è stato la drag queen Paul di 30 Rock. Questa volta Forte è Phil Miller, protagonista di una commedia post-apocalittica che mostra la Terra improvvisamente spopolata a causa di un misterioso virus. L’ambientazione a Tucson, Arizona, immortala un mondo che è sia un paradiso terrestre dalle risorse illimitate, sia un deserto di solitudine per l’ultimo uomo sulla terra.

Per un po’ osserviamo Phil distruggersi in piscine di margarita, bruciare pire di prodotti fuori dai supermarket e inventare giochi che implicano la distruzione di oggetti simbolo del consumismo occidentale. La solitudine del protagonista porta all’estrema potenza i riferimenti a Cast Away: Phil ha un intero pub popolato di amici-palloni ai quali ha disegnato la faccia. Ma l’intima natura dello show è rivelata dall’apparizione di un altro essere umano; è una donna, Carol (Kristen Schaal), non è molto attraente, ha idee strane e interferisce con la libertà nichilista di Phil fino a costringerlo a sposarla per ripopolare il mondo. Il conflitto tra i due personaggi (e tra gli altri che si uniranno a loro) è il motore delle situazioni comiche, perennemente avviato da Phil, bugiardo cronico con una personalità che richiama Homer Simpson e in generale l’archetipo del “maschio cazzone” a cui ci ha abituati la tv americana.

Lo scenario apocalittico ha quindi una funzione ben precisa. È una schematizzazione, la stilizzazione per assurdo della vita matrimoniale, delle frustrazioni meschine del maschio nella vita sentimentale e nelle dinamiche di gruppo. The Last Man on Earth mette in pratica un’iconoclastia borghese, ponendo i suoi personaggi nel quadro svuotato dove cercano di replicare la loro vita pre-apocalisse con cene tra coppie e cortesie affettate, mentre defecano nelle piscine delle ville in cui abitano senza elettricità. A sottolinearlo, Phil appende in casa propria le Ninfee di Monet e l’autoritratto di Van Gogh, e Carol li vandalizza decorandoli con cagnetti sorridenti.

La comicità della serie è contraddistinta da una nota di sadismo simile a quella dei cartoni Looney Tunes, che ricorda in particolare Wile E. Coyote – in questo caso Phil Miller, all’inseguimento non del Beep Beep, ma della possibilità di fare sesso. Qualsiasi avvenimento provoca un conflitto, sempre collegabile ai sordidi piani di Phil per ingannare il prossimo, che inesorabilmente si ripercuotono su di lui. La stagione è un crescendo folle, dove le situazioni si accumulano e ogni “caso di puntata” conduce a un’evoluzione della trama, spesso basata sul colpo di scena provocato dall’arrivo di nuovi personaggi. Vediamo Phil essere causa del proprio male in una serie insolita e strampalata che strapperebbe una risata anche ai cactus che circondano la Tucson post-apocalittica.

Sara M.
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