Gabriele Salvatores sembra avere come obiettivo e come trait d’union della sua filmografia, in particolare da Nirvana in poi, quello di adattare al nostro cinema e al nostro immaginario approcci più internazionali e generi più variegati. Non fa eccezione Il Ragazzo Invisibile, cioè -escludendo qualche tentativo artigianale realizzato tra gli anni settanta e gli ottanta come L’Uomo Puma di De Martino- il primo film italiano con protagonista un supereroe.

Il Ragazzo Invisibile rimastica canoni, personaggi (gli X-Men su tutti) e ottiche produttive di largo respiro e crossmediali del cinema dei supereroi statunitense adattandole a forme di racconto nostrane, nel tentativo di rendere quest’ultime più accattivanti senza però tradirle davvero: questo, vedremo, è sia il punto di forza, che il limite dell’opera. Il film è un classico racconto di formazione adolescenziale, e una rappresentazione dei problemi e dei comportamenti tipici di quell’età. Il “Ragazzo Invisibile” del titolo è Michele (interpretato, bene, dal tredicenne Ludovico Girardello), classico adolescente insicuro, vittima dei bulli, innamorato ma timido e reduce da una situazione familiare problematica. Come molti a quell’età desidera diventare invisibile, ma a differenza di molti ci riesce.

Salvatores realizza così un’opera intima e tenera nella rappresentazione dei disagi adolescenziali e del loro riscatto, dei quali la cornice superoistica diventa un’efficace metafora, uno strumento più che il vero “focus” narrativo principale. Sapendo di non potersela giocare, non solo per motivi di vil denaro, sullo stesso campo delle grandi produzioni americane, il regista prende in prestito, cita, e rielabora tutto in una cornice più intimista, cercando un difficile equilibrio tra le regole del genere e le convenzioni nostrane. Laddove il film si mostra più debole è proprio nelle scene in cui non si smarca abbastanza da un certo orizzonte del nostro cinema: momenti didascalici, spiegoni superflui e qualche sentimentalismo non necessario né ben calibrato.

Il mestiere comunque c’è, e, in fin dei conti, il film funziona abbastanza, anche solo se considerato come apripista e pionere. Interessante è anche la cornice cross-mediale: oltre al film sono state pubblicate una graphic novel che costituisce una sorta di prequel e un romanzo che delinea meglio alcuni personaggi secondari. rimane aperta la porta di un sequel, che dipenderà dal risultato al botteghino. Chi spera in una maggiore varietà del nostro cinema, anche se non entusiasta fino in fondo, non può quindi che augurare il successo di pubblico. A non crederci però sembrerebbero i distributori stessi, i quali hanno scelto di lanciare il film nelle sale nella bolgia natalizia (Salvatores dovrà vedersela su due fronti: contro i blockbuster, e, per il pubblico più cinefilo, contro Fincher e Loach): coraggiosi o incoscienti?

Edoardo P.Giacomo B.
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